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Tag: media

TikTok, un algoritmo che funziona in politica

La piattaforma cinese sempre più in evoluzione, si sta da poco facendo spazio nel chiacchieratissimo settore dell’attivismo politico.

Nel corso della storia e del tempo, il modo di comunicare è sicuramente cambiato. Allo stesso modo la politica si è evoluta, in cerca di soluzioni innovative per raggiungere un pubblico sempre più ampio.
Vediamo come, al giorno d’oggi, questo argomento è diventato quasi un trend da seguire sul social più ambito del momento.

Il social della libertà di espressione

TikTok ospita una grande e diversificata comunità di attivisti. Sulla piattaforma possiamo incontrare video che parlano di dichiarazioni politiche, teorie della cospirazione, contenuti razzisti e sessisti o addirittura fake news dovute alla disinformazione.

TikTok si è sempre distinto come portavoce di un target omogeneo e internazionale. In particolare dà modo ai giovani di connettersi ad un pubblico vicino usando ricorrenze simboliche collettive, che possono essere fisiche, visive o virtuali (come danze e balletti virali o hashtag in tendenza e citazioni del momento).

La nuova moda di comunicare in politica

TikTok è un social network relativamente nuovo, fresco e giovanile, che attrae fasce di ragazzi di tenera e media età. Nonostante questo, come tutti i canali digitali, all’interno dell’applicazione sono recentemente approdati anche gli adulti, e con loro la politica in vecchio stile.

Ma TikTok è davvero pronto ad affrontare questa diplomatica invasione social dovuta dall’avvento dei boomer?

In realtà TikTok stabilisce l’impossibilità di “fare politica” sulla piattaforma, e la stessa regola viene riproposta per quanto riguarda gli annunci a pagamento:

Niente annunci a favore o contro un politico o un partito. No ad annunci elettorali. Niente annunci che criticano o esaltano provvedimenti di un governo.”

Queste sono le linee guida più rilevanti per il corretto utilizzo della piattaforma, ma è risaputo ormai che la nuova generazione sia interessata più di ogni altra cosa ai diritti, all’ambiente e alla politica.

Il conflitto politico su TikTok è ancora relativamente limitato e, spesse volte, è controproducente. Le discussioni e i confronti su questa piattaforma sfociano molto facilmente e vengono filtrati attraverso le caratteristiche, le singole identità e le esperienze personali dei giovani utenti, considerando il dialogo politico sotto un aspetto molto privato e personale.

Se lo scorso ottobre, dunque, TikTok ha vietato la pubblicità a pagamento che tratta di politica, è proprio su questo social che i movimenti politici più riconosciuti stanno prendendo piede, producendo una quantità intingente di contenuti, commenti ed interazioni. 

Ad esempio, in Italia #greenpass ha raggiunto 53,6 milioni di visualizzazioni e #ddlzan 63,1 milioni, mentre l’hashtag #blacklivesmatter per 27,8 miliardi di visualizzazioni e #georgefloyd ne ha raccolti 5,1 miliardi.

Il razzismo e il caso #BlackLivesMatter

Gli elementi condivisi dai giovani riguardanti la politica, che si concretizzano in canzoni o hashtag, sono aspetti fondamentali nel contesto dell’espressione legata a Black Lives Matter su TikTok. Esiste una grande diversificazione in termini di stile ed espressione, dall’ironia alla rabbia, dalle proteste, dai meme, dai gif alle interviste.

Dal brutale episodio dell’afroamericano George Floyd, risalente al 25 maggio 2020, si è da subito sviluppato un senso di solidarietà e consapevolezza generazionale collegato al concetto di espressione politica libera e condivisa: sui social e nei vari filmati di proteste, si notano diversi commenti come “Adoro la nostra generazione con tutto il cuore” e “La Gen Z sta cambiando il mondo”, il che è davvero interessante perché le “generazioni”, in genere, non si riferiscono a sé stesse come gruppi di appartenenza.

Colpisce soprattutto il forte impatto che semplici e brevi parole come gli hashtag abbiano un forte impatto nelle conversazioni che si generano nel mondo digitale e, in questo caso, come questi vengano utilizzati anche da persone al di fuori degli Stati Uniti per sostenere il movimento BLM. Ad esempio, in Israele le proteste in solidarietà del Black Lives Matter si sono unite alla protesta degli israeliani di origine etiope che subiscono discriminazione razziale da parte della polizia del territorio.

Questo indica come TikTok consenta ai giovani d’oggi di dare voce alle loro battaglie e paure, collegando un messaggio personale ad un momento politico di ampia portata.

TikTok porta visibilità alla guerra

L’invasione russa dell’Ucraina non è la prima guerra dei social media, ma è la prima a svolgersi su TikTok. L’attuale conflitto, alimentato dall’effetto virale della piattaforma, ha creato in modo importante un flusso infinito di filmati che raccontano la guerra come non era mai capitato prima d’ora.

Questi report e video sono letteralmente diventati una salvezza per gli investigatori che attualmente cercano di tracciare i movimenti dell’esercito russo. E in questo periodo storico c’è molto seguito per i video sulla guerra: tra il 20 e il 28 febbraio, le visualizzazioni dei video con l’hashtag #ukraine sono passate da 6,4 a 17,1 miliardi.

Ed è così che la terribile guerra scoppiata in Ucraina è stata nominata come la prima “social media war”, che vede una forte strategia comunicativa del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che non ha mai abbandonato il suo paese, bensì è da subito rimasto per lottare vicino al suo popolo, come un vero e proprio eroe. 

Come ormai sappiamo, il conflitto si sta combattendo anche sul web, perciò sta diventando sempre più difficile distinguere le vere notizie da quelle false.
Resta importante sottolineare che TikTok lotta per impedire il diffondersi di informazioni false e teorie del complotto.
L’applicazione ha recentemente aggiornato una sezione che avverte gli utenti di “verificare i fatti utilizzando fonti affidabili” quando ricercano determinate categorie di argomenti.

Conclusioni

TikTok è sicuramente il social rappresentativo del momento, sempre più noto soprattutto come palcoscenico di propaganda politica.
È necessario capire che una piattaforma che ottiene una forte risonanza e un grande riscontro, funziona se si hanno affinità con il mezzo in questione, se si sanno veicolare i messaggi in modo giusto e intelligente, non se si vuole provare ad essere giovanili a tutti i costi, senza alcun effetto positivo futuro.

Perché non è sempre bene fidarsi…in Rete

La teoria del complotto

Un complotto (o cospirazione) è un’azione condotta da più persone mediante un accordo segreto, che mira ad alterare o sconvolgere una situazione sociale consolidata.

La parola “cospirazione” deriva dal latino cum spirare (respirare con) e indica un accordo profondo, intellettuale e sentimentale, con l’intenzione di raggiungere l’obiettivo prefissato.

Il complotto viene solitamente architettato da un gruppo, una minoranza ristretta: si tratta di attori anonimi e avvolti nel mistero, per cui non si conosce chi realmente faccia parte dell’organizzazione.

Le informazioni sugli eventi più rilevanti vengono trasmesse velocemente grazie ai mezzi di comunicazione; la teoria del complotto seleziona alcune notizie e fotografie dal flusso informativo per insinuare il dubbio sulla veridicità delle informazioni.

Il complottismo

Il complottismo non presta attenzione alla verità e all’autenticità, ma alla verosimiglianza per poter diffondere il sospetto su ciò che appare.

La logica del complotto si basa sui pregiudizi. Quando si pensa a qualcosa, viene avviato il processo relativo al modo di intenderla e di darle una forma.

Se il modo di intendere risulta falsato e distorto si parla di pregiudizio, se invece è favorito e facilitato, si parla di presupposto. Il presupposto è quindi inevitabile perché compone e struttura un pensiero, mentre il pregiudizio falsa e distorce e fa parte della logica del complotto perché è manipolatorio.

Il concetto di “menzogna” è connesso a quello di “complotto” e si traduce in diverse forme difficili da individuare e da smascherare. La menzogna può cambiare il significato degli eventi e presentarli come non veri: è un’arma politica perché può provocare delle reazioni a catena con l’obiettivo di plasmare e manipolare la realtà.

Cosa sono le fake news?

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Con il termine fake news si intendono tutte quelle notizie, che pur non avendo nessun fondamento verificato, circolano in rete, sui social network o sui media tradizionali. 

Si tratta di menzogne, di cui è possibile dimostrarne la falsità, ma che comunque hanno un grande appeal e riescono ad arrivare a milioni di persone attraverso i canali di trasmissione.

Fake news in politica

Dal punto di vista dell’opinione pubblica, la politica è diventata teatro di fake news.

È ovvio che i social network, al giorno d’oggi, permettano più facilità nella diffusione delle fake news, che hanno acquistato una grande capacità per quanto riguarda la distorsione dei fatti e per ottenere più consensi. 

Le accuse di divulgare fake news vengono utilizzate spesso in politica per delegittimare un avversario, specialmente durante i discorsi pubblici. Le cosiddette “bufale” si possono trovare sui quotidiani, quando i giornalisti non verificano la veridicità delle notizie, ma non solo. 

Si può parlare anche di fake news online, soprattutto negli Stati Uniti, dal 2016 con le elezioni presidenziali che hanno visto la sconfitta di Hillary Clinton, in cui i social sono diventati un grande veicolo di fake news.

La rapidità di trasmissione dei social network trova inoltre un grande pubblico che, molte volte per comodità o per pigrizia, crede a ciò che legge online senza voler fare ulteriori approfondimenti.

Fake news: un fenomeno recente?

Le fake news non sono derivanti da internet come molti credono ma esistono già da moltissimi anni, solo che venivano chiamate semplicemente “notizie false”. 

La rete però ha accentuato questo fenomeno rendendolo più diffuso e meno controllabile.
Le statistiche dicono che il 66% delle persone crede alle fake news e il 57% delle notizie false circolanti riguardano politica e cronaca.

Con la nascita e la diffusione di Internet, si pensava di avere a che fare con un mezzo democratico e onesto per condividere le informazioni ma in realtà, è ormai noto come miliardi di persone possano partecipare alla diffusione delle informazioni ad una velocità sconcertante.

È vero che la democratizzazione delle informazioni consente a tutti di partecipare, ma è altrettanto vero che chiunque può scrivere quello che desidera, includendo punti di vista distorti, opinioni ignoranti o disinformate.

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Teorie complottiste e fake news che hanno fatto il giro del mondo

Le teorie complottiste fanno parte della nostra vita quotidiana ed il complotto è sempre esistito, in quanto caratteristica intrinseca alla natura umana: l’uomo non è fatto per agire in modo trasparente e genuino.

Nel corso degli anni sono emerse molte teorie cospirative e alcune si sono rivelate frutto della paranoia delle persone, che ha raggiunto dei livelli di follia che hanno dell’incredibile.

Il caso Titanic

C’è una teoria complottista secondo cui il Titanic sia stato affondato di proposito, con lo scopo di eliminare tre persone molto ricche ed influenti che si opponevano alla creazione della “Federal Reserve”, fondata l’anno successivo alla tragedia.

La teoria del PID

Conosciuta come la teoria del PID (Paul is dead?) è la teoria della morte di Paul McCartney, secondo la quale il famoso cantante sarebbe morto in un incidente stradale e, per conservare il suo successo, la band avrebbe deciso di sostituirlo con un sosia, lasciando però indizi nelle canzoni e nelle copertine degli album.

"La Terra è piatta"

Una delle teorie più famose è quella che sostiene che la Terra sia piatta: nonostante la scienza abbia dimostrato da secoli la forma sferica del nostro pianeta, i terrapiattisti sono convinti che sia esso piatto.

Gli attacchi a Barack Obama

Una teoria complottistica, che ha visto protagonista Obama, era quella che affermava la capacità dell’ex presidente degli Stati Uniti d’America di controllare il meteo, al fine di distogliere l’attenzione dei cittadini da alcune polemiche alimentate nei confronti della Casa Bianca.

Riguarda proprio l’ex presidente degli Stati Uniti una delle bufale più diffuse negli ultimi anni: in passato, una serie di falsi del certificato di nascita di Barack Obama, hanno messo in discussione il suo luogo di nascita, ed è risaputo che non si potrebbe aspirare alla Casa Bianca senza essere nati in America. Le voci sono state poi smentite affermando che Obama sia nato ad Honolulu, Hawaii.

L'email di Bill Gates

Una delle prime fake news circolate su Internet è stata creata nel 1997 ed era un’email che cominciò ad arrivare a tutti nel mondo, il cui contenuto citava la volontà di Bill Gates di regalare del denaro ai destinatari.

Sono numerose anche le fake news sui vaccini, specialmente con l’attuale pandemia; una di queste troverebbe in uno dei vaccini autorizzati una possibile causa dell’infertilità femminile. 

Il web e i social network hanno oggi più che mai un potere colossale, poiché il flusso di disinformazione che si diffonde online è in grado di manipolare gli utenti mediante la pubblicazione di notizie allarmanti.

Plandemic

Si è inoltre diffusa in un video online e in un libro diventato bestseller su Amazon, “Plandemic”, la teoria che mette insieme una serie di bufale sul Coronavirus parlando di un piano più ampio. Quello secondo cui i “ricchi” avrebbero diffuso il Coronavirus per aumentare i tassi di vaccinazione.

L’autrice del video è Judy Mikovits, una biochimica caduta in disgrazia nella comunità scientifica dopo uno scandalo nel 2009 per uno studio che collegava la sindrome da fatica cronica a un retrovirus rinvenuto dai gatti.

Il video è stato rimosso da diverse piattaforme (come Facebook e Youtube) per la diffusione di informazioni fuorvianti e dannose alla salute pubblica.

Tra le affermazioni presenti nel video c’è l’idea che le mascherine, non solo non difendano dal virus, ma che il loro utilizzo sia pericoloso; che chiudere le spiagge sia un errore perché nell’acqua ci sono dei microbi guaritori e che il numero dei morti si stato esasperato per aumentare il controllo sulla popolazione.

Fake news e Covid-19

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Sono tante le teorie complottiste che ruotano attorno al Covid-19 e tra le più diffuse c’è quella che il virus sia una “punizione” da parte degli Stati Uniti nei confronti dei suoi principali avversari: la Cina (a causa della guerra sui dazi), l’Italia (per via del suo allontanamento dall’USA) e l’Iran (per i trascorsi che ci sono stati tra i due Paesi).

Un’altra teoria è di chi crede che il virus sia stato utilizzato come mezzo per far calare il prezzo del petrolio, per questo motivo avrebbe colpito principalmente l’Iran (uno degli Stati con maggiori giacimenti di oro nero), l’Italia (il suo principale partner commerciale) e la Cina (il primo importatore al mondo di petrolio).

Un’altra grande pista complottista è stata quella secondo cui il Coronavirus in realtà potrebbe essere una grande macchinazione messa in atto da Bill Gates, padrone dell’OMS in quanto più grande donatore privato, per dominare il mondo. Gates nel 2015 avrebbe pagato un istituto di ricerca britannico per creare il Coronavirus e brevettarne anche il vaccino, con il fine di diffonderlo nel mondo, creare una situazione di panico, e poi dominare la Terra attraverso il vaccino.

Secondo alcuni in realtà questo nuovo virus sarebbe solo una grande menzogna, e a far ammalare le persone e ucciderle, non sarebbe il virus, ma il 5G. La nuova tecnologia, infatti, sarebbe estremamente dannosa per l’organismo, e provocherebbe tutti i sintomi riscontrabili nei malati di Coronavirus.

C’è da dire che la pandemia ha generato molta paura nella popolazione mondiale, ma è emerso anche il “sense of humor” di molti utenti della rete, scatenando l’immaginazione di chi giornalmente crea video, immagini e altri contenuti ironici, per cui talvolta è difficile distinguere le bufale dalle informazioni reali.

Fonti

Sitografia

Bibliografia

  • Baldi B. "Complotti e raggiri. Verità, non verità, verità nascoste" Roma, Viella, 2018.

Ecco perché non riusciamo a staccarci dallo schermo: captology e tecniche persuasive

Il computer come alleato o come manipolatore delle menti? 

La relazione fra uomo e computer, soprattutto se riferita ai nuovi social media, sta diventando il tormentone degli ultimi anni. Fra minimizzatori e allarmisti la captologia sta portando a un’analisi più dettagliata delle interrelazioni fra privacy, utilizzo dei dati e grandi colossi mondiali. È forse il caso di temere per il nostro futuro?

The Social Dilemma e il risveglio delle coscienze

Mentre il dibattito fra sociologi e psicologi dura da tempo, il problema della possibile manipolazione delle nostre menti attraverso l’uso del pc e dei social media ha assunto maggior spessore dopo l’uscita del film documentario The Social Dilemma.

Questa pellicola, presentata il 26 Gennaio 2020 al Sundance Film Festival, è stata distribuita nel Settembre dello stesso anno su Netflix, diventando in breve tempo uno dei film più visti dal pubblico della piattaforma.

Il dibattito si è infuocato e ognuno di noi ha avuto la possibilità di conoscere il problema o quanto meno di porsi alcune domande in modo diretto.

Il documentario The Social Dilemma è un atto di accusa fatto dall’interno, dagli stessi “costruttori” dei social network verso le loro creazioni. Il tutto prende vita da una serie di domande, risposte, dialoghi, considerazioni e rivelazioni che il regista Jeff Orlowski assembla e propone al grande pubblico.

Le voci che danno vita al film sono importanti e di grande spessore (come Tristan Harris, “protagonista” ed ex consulente etico di Google).

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Un mondo "drogato" dai social media

Secondo il documentario, sono sempre di più le generazioni rassegnate a vivere in una forma di isolamento dalla realtà. Menti manipolate che non possono più decidere niente, perché ormai è la macchina che decide per loro. 

Ma è veramente un sistema sfuggito al controllo, oppure come sostengono alcuni il documentario propone solo temi scontati trasformando gli utenti in zombie virtuali senza più capacità intellettiva?

I social network fanno male alla salute delle persone e creano dipendenza al punto da alienare l’individuo e orientare le sue scelte attraverso gli algoritmi?

Un’estinzione imminente per l’umanità o un allarmismo senza fondamento, considerando che tutto può essere pericoloso o utile, ma dipende soltanto dall’uso che ne viene fatto.

Sicuramente la relazione fra i dati forniti dagli utenti e le multinazionali che li detengono pone un problema etico e sociale: la necessità di una regolamentazione.

Una regolamentazione sull’utilizzo di quei dati sta diventando una richiesta sempre più pressante da parte delle associazioni dei consumatori, dei sociologi e psicologi del mondo.

Ma come ci poniamo di fronte a questi strumenti?

Non bene. Da studi effettuati negli Stati Uniti emerge che mediamente un adulto trascorra due ore al giorno sui social e un adolescente fino a nove.

Anche non volendo dare credito alla posizione catastrofica del lungometraggio di Orlowski, il tempo dedicato allo scrolling sui social è veramente tanto.

Che questo sia voluto dagli stessi informatici che li hanno progettati per svegliare in noi un bisogno compulsivo, oppure sia solo il risultato delle nostre solitudini, una domanda dobbiamo porcela:

ci rendiamo conto di quante ore di una nostra giornata tipo regaliamo al mondo virtuale sottraendole a quello reale?

Certo, come sostengono altri studi, il problema è complesso e coinvolge non soltanto il tempo trascorso, ma anche i contenuti visualizzati.

Per tutte le cose dipende molto dall’uso che ne viene fatto e questo vale anche per l’argomento che stiamo trattando. Durante il periodo della pandemia Covid-19 sicuramente i social possono essere diventati punti di contatto per emergere da una solitudine imposta dalle restrizioni sanitarie.

La Captologia

A cercare di dare una risposta alle tante domande che sicuramente ci stiamo ponendo arriva in soccorso la scienza nella nuova veste della Captologia.

L’Enciclopedia Treccani definisce la captologia nel seguente modo:

«Branca delle scienze sociologiche che studia l’impatto delle tecnologie interattive su comportamenti, abitudini, convinzioni di chi naviga in rete»

Questa scienza nasce nel 1996 dalla coniazione del termine “Captology” fatta dal Dott. Fogg (direttore del Laboratorio di Tecnologia Persuasiva presso la Stanford University).

Il termine “Captology” è stato coniato dallo stesso Fogg dall’acronimo CAPT (Computers As Persuasive Techonogies).

Dr. Brian Jeffrey Fogg
Dott. Brian Jeffrey Fogg

Prima di affrontare il tema dell’utilizzo dei pc come tecnologie persuasive dobbiamo dare la definizione di cosa si intende con il termine “persuasione”.

La persuasione possiamo vederla come il tentativo di far fare a un soggetto ciò che non farebbe di sua spontanea iniziativa.

Se vale la regola che più una persona ci conosce e più è in grado di persuaderci, certamente i pc – strumenti nati per supportarci nelle attività quotidiane di studio, lavoro e intrattenimento – possono diventare dei persuasori occulti estremamente potenti. Il computer diventa quindi il miglior mezzo per manipolare le persone e farsele amiche.

Secondo gli studiosi di captologia, il nostro più grande problema è quello di ritenere i pc neutrali, o peggio ancora, quello di rapportarsi a loro come se fossero delle persone.

Non avendo ancora un carattere intenzionale, le intenzioni manipolatorie dei computer sono quelle dei programmatori e non certamente quelle dei computer. Questi, per adesso, analizzano e raccolgono ciò che un algoritmo gli comanda, a seconda delle intenzioni e dei bias di chi ne ha sviluppato il software e progettato l’architettura informativa.

Ormai il valore di un’azienda non dipende più soltanto dal capitale o da ciò che sa fare, ma dipende soprattutto dal patrimonio dei dati che possiede. Più noi forniamo dati (con iscrizioni, cookies, ricerche etc.) più veniamo targhettizzati.

La profilazione del target

La pratica della profilazione è diventata uno degli elementi fondamentali alla base di ogni scelta di marketing aziendale.

Pensiamo soltanto a ciò che ci viene proposto da Google oppure da Facebook. Quando facciamo una ricerca, immediatamente compaiono sui nostri social pubblicità e articoli riferiti a ciò che abbiamo cercato.

E se da un lato ci aiuta a farci vedere ciò che ci interessa veramente, dall’altro limita molto le nostre conoscenze o idee su determinati argomenti, non mostrando una voce diversa dalla nostra.

Altro esempio che sicuramente è successo a tutti noi è quello di incappare nelle tecnologie di geofencing, le quali ci portano ad avere informazioni sull’acquisto di negozi vicini a noi o segnalazioni di luoghi dove siamo passati (Google lo fa continuamente attraverso Google Maps).

Tecnologie Persuasive

Facciamo adesso qualche esempio di tecnica persuasiva usata dai social e cerchiamo poi di scovarle nella nostra quotidianità per vedere se inconsapevolmente ci siamo cascati.

Possiamo difenderci da qualcosa solo se la conosciamo.

Facebook ha una tecnologia persuasiva potentissima e studiata per inchiodarci il più possibile allo schermo. Pensiamo ad esempio al tagging: un messaggio comunica che sei stato taggato, ma non fornisce altra informazione, costringendoti quindi ad aprire l’app per scoprire il contenuto del tag e magari rimanere incollato sul social una volta al suo interno.

Questa tecnica fa aumentare il tempo di permanenza sui social. E più tempo si trascorre sul social più pubblicità vediamo e più dati forniamo all’algoritmo.

Alla base dell’intelligenza artificiale che regola questi strumenti c’è semplicemente un algoritmo. Più vieni inchiodato a visualizzare determinati contenuti e più vengono proposti contenuti simili, con un bombardamento continuo di spot, notifiche, email e così via.

Smartphone e Slot machine

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Sempre in riferimento ai meccanismi che vanno ad agire sul nostro intento, lo smartphone è stato paragonato a una slot machine: sempre a nostra disposizione, è ormai diventato una presenza imprescindibile del nostro vivere quotidiano.

Forse non ci rendiamo conto che il display tecnologico e le app accattivanti molto spesso ci portano a consultare spasmodicamente il telefono senza un bisogno effettivo.

Lo strumento del “rullo virtuale”, tipico delle slot machine, viene infatti usato anche dai più importanti social. Se ci pensiamo, Facebook è la più grande slot machine del mondo:

i like sono la moneta sociale che ci lega alla piattaforma, dandoci quel senso di gratificazione ogni volta che vediamo che qualcuno ha lasciato un riconoscimento su una nostra pubblicazione.

Ogni notifica ricevuta è assimilabile a un giro del rullo, il quale si traduce in nuovi scrolling e in maggior tempo passato sul social.

Le stesse richieste di contatto sono determinate da un algoritmo che propone nuove persone sulla base delle conoscenze acquisite, delle affinità dei profili e dei comportamenti online. In questo modo si viene a creare un mondo chiuso fra soggetti che la pensano in modo uguale o vivono in modo simile.

Un problema etico questo per una società come la nostra, fondata sull’ideale della libera scelta individuale e sulla libertà più in generale.

Conclusioni

Sicuramente quello che oggi manca maggiormente nelle persone che utilizzano i social è la consapevolezza di ciò che avviene dietro a ogni loro click.

Una regolamentazione più ferrea e una informazione più accurata potrebbero arginare il rischio che uno strumento così innovativo e importante possa trasformarsi in un boomerang pericolosissimo.

La conoscenza è sempre alla base di ogni libera scelta. E se la scelta è libera, lo spazio per la manipolazione diventa esiguo.

Educare all’uso dei computer e delle tecnologie digitali dovrebbe diventare materia di studio al pari della letteratura e della matematica. Il progresso non può prescindere dalle nuove tecnologie, ma l’uomo ha bisogno di strumenti e di tempo per capire come riprendere in mano il timone della propria esistenza.