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Categoria: Media

TikTok, un algoritmo che funziona in politica

La piattaforma cinese sempre più in evoluzione, si sta da poco facendo spazio nel chiacchieratissimo settore dell’attivismo politico.

Nel corso della storia e del tempo, il modo di comunicare è sicuramente cambiato. Allo stesso modo la politica si è evoluta, in cerca di soluzioni innovative per raggiungere un pubblico sempre più ampio.
Vediamo come, al giorno d’oggi, questo argomento è diventato quasi un trend da seguire sul social più ambito del momento.

Il social della libertà di espressione

TikTok ospita una grande e diversificata comunità di attivisti. Sulla piattaforma possiamo incontrare video che parlano di dichiarazioni politiche, teorie della cospirazione, contenuti razzisti e sessisti o addirittura fake news dovute alla disinformazione.

TikTok si è sempre distinto come portavoce di un target omogeneo e internazionale. In particolare dà modo ai giovani di connettersi ad un pubblico vicino usando ricorrenze simboliche collettive, che possono essere fisiche, visive o virtuali (come danze e balletti virali o hashtag in tendenza e citazioni del momento).

La nuova moda di comunicare in politica

TikTok è un social network relativamente nuovo, fresco e giovanile, che attrae fasce di ragazzi di tenera e media età. Nonostante questo, come tutti i canali digitali, all’interno dell’applicazione sono recentemente approdati anche gli adulti, e con loro la politica in vecchio stile.

Ma TikTok è davvero pronto ad affrontare questa diplomatica invasione social dovuta dall’avvento dei boomer?

In realtà TikTok stabilisce l’impossibilità di “fare politica” sulla piattaforma, e la stessa regola viene riproposta per quanto riguarda gli annunci a pagamento:

Niente annunci a favore o contro un politico o un partito. No ad annunci elettorali. Niente annunci che criticano o esaltano provvedimenti di un governo.”

Queste sono le linee guida più rilevanti per il corretto utilizzo della piattaforma, ma è risaputo ormai che la nuova generazione sia interessata più di ogni altra cosa ai diritti, all’ambiente e alla politica.

Il conflitto politico su TikTok è ancora relativamente limitato e, spesse volte, è controproducente. Le discussioni e i confronti su questa piattaforma sfociano molto facilmente e vengono filtrati attraverso le caratteristiche, le singole identità e le esperienze personali dei giovani utenti, considerando il dialogo politico sotto un aspetto molto privato e personale.

Se lo scorso ottobre, dunque, TikTok ha vietato la pubblicità a pagamento che tratta di politica, è proprio su questo social che i movimenti politici più riconosciuti stanno prendendo piede, producendo una quantità intingente di contenuti, commenti ed interazioni. 

Ad esempio, in Italia #greenpass ha raggiunto 53,6 milioni di visualizzazioni e #ddlzan 63,1 milioni, mentre l’hashtag #blacklivesmatter per 27,8 miliardi di visualizzazioni e #georgefloyd ne ha raccolti 5,1 miliardi.

Il razzismo e il caso #BlackLivesMatter

Gli elementi condivisi dai giovani riguardanti la politica, che si concretizzano in canzoni o hashtag, sono aspetti fondamentali nel contesto dell’espressione legata a Black Lives Matter su TikTok. Esiste una grande diversificazione in termini di stile ed espressione, dall’ironia alla rabbia, dalle proteste, dai meme, dai gif alle interviste.

Dal brutale episodio dell’afroamericano George Floyd, risalente al 25 maggio 2020, si è da subito sviluppato un senso di solidarietà e consapevolezza generazionale collegato al concetto di espressione politica libera e condivisa: sui social e nei vari filmati di proteste, si notano diversi commenti come “Adoro la nostra generazione con tutto il cuore” e “La Gen Z sta cambiando il mondo”, il che è davvero interessante perché le “generazioni”, in genere, non si riferiscono a sé stesse come gruppi di appartenenza.

Colpisce soprattutto il forte impatto che semplici e brevi parole come gli hashtag abbiano un forte impatto nelle conversazioni che si generano nel mondo digitale e, in questo caso, come questi vengano utilizzati anche da persone al di fuori degli Stati Uniti per sostenere il movimento BLM. Ad esempio, in Israele le proteste in solidarietà del Black Lives Matter si sono unite alla protesta degli israeliani di origine etiope che subiscono discriminazione razziale da parte della polizia del territorio.

Questo indica come TikTok consenta ai giovani d’oggi di dare voce alle loro battaglie e paure, collegando un messaggio personale ad un momento politico di ampia portata.

TikTok porta visibilità alla guerra

L’invasione russa dell’Ucraina non è la prima guerra dei social media, ma è la prima a svolgersi su TikTok. L’attuale conflitto, alimentato dall’effetto virale della piattaforma, ha creato in modo importante un flusso infinito di filmati che raccontano la guerra come non era mai capitato prima d’ora.

Questi report e video sono letteralmente diventati una salvezza per gli investigatori che attualmente cercano di tracciare i movimenti dell’esercito russo. E in questo periodo storico c’è molto seguito per i video sulla guerra: tra il 20 e il 28 febbraio, le visualizzazioni dei video con l’hashtag #ukraine sono passate da 6,4 a 17,1 miliardi.

Ed è così che la terribile guerra scoppiata in Ucraina è stata nominata come la prima “social media war”, che vede una forte strategia comunicativa del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che non ha mai abbandonato il suo paese, bensì è da subito rimasto per lottare vicino al suo popolo, come un vero e proprio eroe. 

Come ormai sappiamo, il conflitto si sta combattendo anche sul web, perciò sta diventando sempre più difficile distinguere le vere notizie da quelle false.
Resta importante sottolineare che TikTok lotta per impedire il diffondersi di informazioni false e teorie del complotto.
L’applicazione ha recentemente aggiornato una sezione che avverte gli utenti di “verificare i fatti utilizzando fonti affidabili” quando ricercano determinate categorie di argomenti.

Conclusioni

TikTok è sicuramente il social rappresentativo del momento, sempre più noto soprattutto come palcoscenico di propaganda politica.
È necessario capire che una piattaforma che ottiene una forte risonanza e un grande riscontro, funziona se si hanno affinità con il mezzo in questione, se si sanno veicolare i messaggi in modo giusto e intelligente, non se si vuole provare ad essere giovanili a tutti i costi, senza alcun effetto positivo futuro.

Perché non è sempre bene fidarsi…in Rete

La teoria del complotto

Un complotto (o cospirazione) è un’azione condotta da più persone mediante un accordo segreto, che mira ad alterare o sconvolgere una situazione sociale consolidata.

La parola “cospirazione” deriva dal latino cum spirare (respirare con) e indica un accordo profondo, intellettuale e sentimentale, con l’intenzione di raggiungere l’obiettivo prefissato.

Il complotto viene solitamente architettato da un gruppo, una minoranza ristretta: si tratta di attori anonimi e avvolti nel mistero, per cui non si conosce chi realmente faccia parte dell’organizzazione.

Le informazioni sugli eventi più rilevanti vengono trasmesse velocemente grazie ai mezzi di comunicazione; la teoria del complotto seleziona alcune notizie e fotografie dal flusso informativo per insinuare il dubbio sulla veridicità delle informazioni.

Il complottismo

Il complottismo non presta attenzione alla verità e all’autenticità, ma alla verosimiglianza per poter diffondere il sospetto su ciò che appare.

La logica del complotto si basa sui pregiudizi. Quando si pensa a qualcosa, viene avviato il processo relativo al modo di intenderla e di darle una forma.

Se il modo di intendere risulta falsato e distorto si parla di pregiudizio, se invece è favorito e facilitato, si parla di presupposto. Il presupposto è quindi inevitabile perché compone e struttura un pensiero, mentre il pregiudizio falsa e distorce e fa parte della logica del complotto perché è manipolatorio.

Il concetto di “menzogna” è connesso a quello di “complotto” e si traduce in diverse forme difficili da individuare e da smascherare. La menzogna può cambiare il significato degli eventi e presentarli come non veri: è un’arma politica perché può provocare delle reazioni a catena con l’obiettivo di plasmare e manipolare la realtà.

Cosa sono le fake news?

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Con il termine fake news si intendono tutte quelle notizie, che pur non avendo nessun fondamento verificato, circolano in rete, sui social network o sui media tradizionali. 

Si tratta di menzogne, di cui è possibile dimostrarne la falsità, ma che comunque hanno un grande appeal e riescono ad arrivare a milioni di persone attraverso i canali di trasmissione.

Fake news in politica

Dal punto di vista dell’opinione pubblica, la politica è diventata teatro di fake news.

È ovvio che i social network, al giorno d’oggi, permettano più facilità nella diffusione delle fake news, che hanno acquistato una grande capacità per quanto riguarda la distorsione dei fatti e per ottenere più consensi. 

Le accuse di divulgare fake news vengono utilizzate spesso in politica per delegittimare un avversario, specialmente durante i discorsi pubblici. Le cosiddette “bufale” si possono trovare sui quotidiani, quando i giornalisti non verificano la veridicità delle notizie, ma non solo. 

Si può parlare anche di fake news online, soprattutto negli Stati Uniti, dal 2016 con le elezioni presidenziali che hanno visto la sconfitta di Hillary Clinton, in cui i social sono diventati un grande veicolo di fake news.

La rapidità di trasmissione dei social network trova inoltre un grande pubblico che, molte volte per comodità o per pigrizia, crede a ciò che legge online senza voler fare ulteriori approfondimenti.

Fake news: un fenomeno recente?

Le fake news non sono derivanti da internet come molti credono ma esistono già da moltissimi anni, solo che venivano chiamate semplicemente “notizie false”. 

La rete però ha accentuato questo fenomeno rendendolo più diffuso e meno controllabile.
Le statistiche dicono che il 66% delle persone crede alle fake news e il 57% delle notizie false circolanti riguardano politica e cronaca.

Con la nascita e la diffusione di Internet, si pensava di avere a che fare con un mezzo democratico e onesto per condividere le informazioni ma in realtà, è ormai noto come miliardi di persone possano partecipare alla diffusione delle informazioni ad una velocità sconcertante.

È vero che la democratizzazione delle informazioni consente a tutti di partecipare, ma è altrettanto vero che chiunque può scrivere quello che desidera, includendo punti di vista distorti, opinioni ignoranti o disinformate.

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Teorie complottiste e fake news che hanno fatto il giro del mondo

Le teorie complottiste fanno parte della nostra vita quotidiana ed il complotto è sempre esistito, in quanto caratteristica intrinseca alla natura umana: l’uomo non è fatto per agire in modo trasparente e genuino.

Nel corso degli anni sono emerse molte teorie cospirative e alcune si sono rivelate frutto della paranoia delle persone, che ha raggiunto dei livelli di follia che hanno dell’incredibile.

Il caso Titanic

C’è una teoria complottista secondo cui il Titanic sia stato affondato di proposito, con lo scopo di eliminare tre persone molto ricche ed influenti che si opponevano alla creazione della “Federal Reserve”, fondata l’anno successivo alla tragedia.

La teoria del PID

Conosciuta come la teoria del PID (Paul is dead?) è la teoria della morte di Paul McCartney, secondo la quale il famoso cantante sarebbe morto in un incidente stradale e, per conservare il suo successo, la band avrebbe deciso di sostituirlo con un sosia, lasciando però indizi nelle canzoni e nelle copertine degli album.

"La Terra è piatta"

Una delle teorie più famose è quella che sostiene che la Terra sia piatta: nonostante la scienza abbia dimostrato da secoli la forma sferica del nostro pianeta, i terrapiattisti sono convinti che sia esso piatto.

Gli attacchi a Barack Obama

Una teoria complottistica, che ha visto protagonista Obama, era quella che affermava la capacità dell’ex presidente degli Stati Uniti d’America di controllare il meteo, al fine di distogliere l’attenzione dei cittadini da alcune polemiche alimentate nei confronti della Casa Bianca.

Riguarda proprio l’ex presidente degli Stati Uniti una delle bufale più diffuse negli ultimi anni: in passato, una serie di falsi del certificato di nascita di Barack Obama, hanno messo in discussione il suo luogo di nascita, ed è risaputo che non si potrebbe aspirare alla Casa Bianca senza essere nati in America. Le voci sono state poi smentite affermando che Obama sia nato ad Honolulu, Hawaii.

L'email di Bill Gates

Una delle prime fake news circolate su Internet è stata creata nel 1997 ed era un’email che cominciò ad arrivare a tutti nel mondo, il cui contenuto citava la volontà di Bill Gates di regalare del denaro ai destinatari.

Sono numerose anche le fake news sui vaccini, specialmente con l’attuale pandemia; una di queste troverebbe in uno dei vaccini autorizzati una possibile causa dell’infertilità femminile. 

Il web e i social network hanno oggi più che mai un potere colossale, poiché il flusso di disinformazione che si diffonde online è in grado di manipolare gli utenti mediante la pubblicazione di notizie allarmanti.

Plandemic

Si è inoltre diffusa in un video online e in un libro diventato bestseller su Amazon, “Plandemic”, la teoria che mette insieme una serie di bufale sul Coronavirus parlando di un piano più ampio. Quello secondo cui i “ricchi” avrebbero diffuso il Coronavirus per aumentare i tassi di vaccinazione.

L’autrice del video è Judy Mikovits, una biochimica caduta in disgrazia nella comunità scientifica dopo uno scandalo nel 2009 per uno studio che collegava la sindrome da fatica cronica a un retrovirus rinvenuto dai gatti.

Il video è stato rimosso da diverse piattaforme (come Facebook e Youtube) per la diffusione di informazioni fuorvianti e dannose alla salute pubblica.

Tra le affermazioni presenti nel video c’è l’idea che le mascherine, non solo non difendano dal virus, ma che il loro utilizzo sia pericoloso; che chiudere le spiagge sia un errore perché nell’acqua ci sono dei microbi guaritori e che il numero dei morti si stato esasperato per aumentare il controllo sulla popolazione.

Fake news e Covid-19

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Sono tante le teorie complottiste che ruotano attorno al Covid-19 e tra le più diffuse c’è quella che il virus sia una “punizione” da parte degli Stati Uniti nei confronti dei suoi principali avversari: la Cina (a causa della guerra sui dazi), l’Italia (per via del suo allontanamento dall’USA) e l’Iran (per i trascorsi che ci sono stati tra i due Paesi).

Un’altra teoria è di chi crede che il virus sia stato utilizzato come mezzo per far calare il prezzo del petrolio, per questo motivo avrebbe colpito principalmente l’Iran (uno degli Stati con maggiori giacimenti di oro nero), l’Italia (il suo principale partner commerciale) e la Cina (il primo importatore al mondo di petrolio).

Un’altra grande pista complottista è stata quella secondo cui il Coronavirus in realtà potrebbe essere una grande macchinazione messa in atto da Bill Gates, padrone dell’OMS in quanto più grande donatore privato, per dominare il mondo. Gates nel 2015 avrebbe pagato un istituto di ricerca britannico per creare il Coronavirus e brevettarne anche il vaccino, con il fine di diffonderlo nel mondo, creare una situazione di panico, e poi dominare la Terra attraverso il vaccino.

Secondo alcuni in realtà questo nuovo virus sarebbe solo una grande menzogna, e a far ammalare le persone e ucciderle, non sarebbe il virus, ma il 5G. La nuova tecnologia, infatti, sarebbe estremamente dannosa per l’organismo, e provocherebbe tutti i sintomi riscontrabili nei malati di Coronavirus.

C’è da dire che la pandemia ha generato molta paura nella popolazione mondiale, ma è emerso anche il “sense of humor” di molti utenti della rete, scatenando l’immaginazione di chi giornalmente crea video, immagini e altri contenuti ironici, per cui talvolta è difficile distinguere le bufale dalle informazioni reali.

Fonti

Sitografia

Bibliografia

  • Baldi B. "Complotti e raggiri. Verità, non verità, verità nascoste" Roma, Viella, 2018.

Food Marketing: come portare in tavola il tuo piatto forte

Al giorno d’oggi è sempre più difficile stare al passo con i tempi e seguire le ultime tendenze del food marketing.

Il consumatore contemporaneo e i suoi bisogni sono cambiati, i mercati si sono estesi in fretta e la concorrenza è sempre più alta. Per riuscire ad avere successo nel Food Marketing bisogna sapersi distinguere, vediamo insieme come.

Cos’è il Food Marketing

Il cliente, cosciente e continuamente aggiornato, non è più condizionato da una semplice azione di vendita, ma cerca un’esperienza da vivere e un’identità nella quale potersi rispecchiare.

Non basta più vendere un prodotto di alta qualità: le persone cercano nel cibo un’esperienza estetica ed sensoriale.  

Il Food Marketing rappresenta le strategie commerciali e comunicative che aumentano la vendita dei prodotti e la percettibilità di un brand, ma allo stesso tempo permettono un rapporto duraturo tra l’azienda e i clienti.

Il Digital Marketing a servizio del food

L’Italia è la patria della cucina mediterranea amata in tutto il mondo, dove il cibo diventa prelibatezza per il gusto, l’olfatto e la vista.

Per questo motivo gli italiani, da sempre abituati a delle dignitose pietanze, diventano involontariamente severi clienti con alte esigenze. 

Il tema del food è capace di diventare istantaneamente virale sui social e in rete.

Alcuni dati confermano che:
#food è il 25° hashtag più utilizzato di sempre, con più di 252 milioni di citazioni.
Milioni di utenti visitano quotidianamente un sito relativo al food.

La migliore ricetta per parlare di cibo

Nel settore alimentare è importante immaginare e sviluppare da subito una pianificazione strategica efficace e pensata appositamente per il proprio brand.

Sicuramente il modo migliore per coinvolgere ed emozionare è quello di raccontare una storia. Le storie fanno parte della vita di ogni persona: siamo sempre stati abituati a vedere il mondo che ci circonda attraverso la narrazione. Creare una storia quindi permette di accrescere un solido rapporto con il consumatore, capace di essere sorpreso e sapersi raccontare.

Il cibo non rappresenta più solo un bisogno, perché i consumatori ricercano qualcosa di più quando entrano in un locale o testano un prodotto: originalità, colori, sapori e sensazioni.


Un’ottima campagna di Food Marketing deve riuscire ad intercettare le preferenze dei clienti, coltivando le diverse tipologie di contenuto in grado di catturarne l’attenzione. 

La comunicazione visual è senza ombra di dubbio il canale favorito, soprattutto in risposta ai clienti. Le immagini, assieme alle parole riescono a stimolare ricordi, emozioni e sensazioni.

Quante volte ti è capitato di provare fame solamente alla vista della foto di un gustoso piatto?

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Fotografare il cibo è diventato un vero e proprio mestiere

Da quando i social media fanno parte della nostra quotidianità, è cresciuto sempre di più un interesse per tutto ciò che riguardasse immagine e fotografia.

Instagram rappresenta un esempio lampante, gioca sull’immediatezza e sulla curiosità, sulla condivisione di immagini con brevi commenti. Tra le tante possibilità di interazione e le immagini visibili, sicuramente le foto di cibo hanno sempre ottenuto un grande riscontro.

Perché è così interessante fotografare il pasto che stiamo per consumare?

Ritrarre il cibo è un’arte, questa è una certezza ormai. La food photography è una specializzazione della fotografia, la produzione di immagini attraenti di cibo utilizzate per scopi pubblicitari e per promuovere i piatti dei ristoranti, delle catene di fast food, dei bistrot e dei locali a tema.

Da Bun Burgers si mangia gratis in cambio di un TikTok

Bun Burgers si è sempre distinto dalle altre catene di fast food per la sua forte comunicazione e strategia adottata sui social.

Innanzitutto, spicca la possibilità di ordinare ogni burger nella versione veggie grazie all’utilizzo di Beyond Meat. Il design di interni stimola l’appetito, è fresco e colorato: luci fluo e insegne neon, insieme ad un ottimo hamburger, rendono l’esperienza assolutamente instagrammabile.

Per la sua nuova apertura a Milano, l’anima digitale di Bun Burgers ha deciso di utilizzare TikTok per una campagna che ha fatto tanto parlare di sé nel modo giusto. Il locale ha lanciato una promo attiva per tutto il mese di novembre.

Per partecipare bastava visitare uno dei vari Bun Burgers, creare e condividere un TikTok e mostrarlo in cassa per ricevere un menù gratis a scelta.


Inutile dire quanto il contest sia andato virale sui social, facendo letteralmente impazzire gli utenti, che si sono mostrati sempre più interessati e coinvolti.

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Tutti pazzi per il Selfiefood

La tendenza di postare piatti visivamente estetici, ha dato vita ad una nuova moda: il selfiefood. Basta un filtro, un’inquadratura pensata ad hoc e una luce perfetta, per realizzare un selfiefood di alta qualità.

È importante che le pietanze mangiate non siano tanto gustose, quanto fotogeniche per i social. 

C’è chi lo fa per professione, chi per semplice passione. Tutti, ma proprio tutti, amano condividere i propri selfie di cibo: dalle celebrità al nostro amico fissato, dagli amanti del cibo ai blogger. 

Per migliorare la qualità delle foto dei propri clienti, il locale Dirty Bones di Soho fornisce gratuitamente il kit “Foodie Instagram Pack”.

Foodie Instagram Pack: il kit per scattare foto perfette

Dirty Bones, la catena a Soho che offre piatti e bevande newyorkesi newyorkese, fornisce ai clienti un “Foodie Instagram Pack” gratuito, permettendo loro di poter fare foto uniche, da condividere sulla piattaforma social per riscuotere successo. Ogni kit in dotazione contiene una luce a Led, un caricatore portatile, delle lenti grandangolo e un bastone per selfie.

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"Foodie Instagram Pack" - Dirty Bones
«Le persone che vengono a mangiare al Dirty Bones sono in genere molto attive sui social e questo ci spinge ad inventare di continuo piatti e cocktail che non siano solo deliziosi, ma anche visivamente attraenti»
Cokey Sulkin
Fondatore del Dirty Bones

Secondo i professionisti, il “Foodie Instagram Pack” è un approccio fresco, innovativo e intrigante che sfrutta una strategia di marketing efficace nel mondo della ristorazione.
È quindi prevedibile pensare che in futuro altri ristoranti possano adottare servizi simili o ancora più insoliti e sorprendenti.

Conclusioni

Il cibo non è soltanto una necessità biologica, ma trasmette moltissimi significati comunicativi, relazionali e sensoriali. È una costante nel nostro vivere quotidiano, esprime sapori che più ci rappresentano, riassapora ricordi i concreti e quelli meno tangibili, simboleggia un intenso viaggio emotivo e sensoriale.

Le Migliori Serie TV sul Marketing, il Digital e la Comunicazione

Tutti i segreti del Marketing, del Digital e della Comunicazione stando comodamente seduti sul divano a sgranocchiare pop corn: si può fare!

Errori di comunicazione che hanno fatto la storia

Piccoli equivoci senza importanza

Quante volte ci è capitato di pensare che non fosse solo un caso, quanti rimpianti pensiamo di doverci portare avanti per delle decisioni che abbiamo preso in momenti in cui forse non avremmo dovuto.

Antonio Tabucchi, in uno dei suoi libri, si interroga sulle possibilità che offre la vita, sui bivi, sui percorsi, sulle scelte fatte e sui ruoli intrapresi. 

Lui chiama “piccoli equivoci” gli eventi guidati dal fato o dal caso che determinano la nostra vita. In molti dei suoi racconti Tabucchi propone una riflessione sulle varie visioni della vita: non ce n’è una sola, ma ognuno la vede a modo suo.

«La vita è un appuntamento, so di dire una banalità, Monsieur, solo che noi non sappiamo mai il quando, il chi, il come, il dove. E allora uno pensa: se avessi detto questo invece di quello, o quello invece di questo, se mi fossi alzato tardi invece che presto, o presto invece che tardi, oggi sarei impercettibilmente differente, e forse tutto il mondo sarebbe impercettibilmente differente […] Un appuntamento e un viaggio, anche questa è una banalità, mi riferisco alla vita, naturalmente, chissà quante volte è stato detto; e poi nel grande viaggio si fanno dei viaggi, sono i nostri piccoli percorsi insignificanti sulla crosta di questo pianeta che a sua volta viaggia, ma verso dove? È tutto un rebus […] E poi, sa com’è la vita, è come una tessitura, tutti i fili si intrecciano, è questo che un giorno vorrei capire, vedere tutto il disegno […] la vita è un ingranaggio, una rotella qua, una pompa là, e poi c’è una cinghia di trasmissione che collega tutto e trasforma l’energia in movimento, proprio come nella vita, un giorno mi piacerebbe capire come funziona la cinghia di trasmissione che lega tutti i pezzi della mia vita, il concetto è lo stesso, bisognerebbe aprire il cofano e stare lì a studiare il motore che ronza, collegare tutto, tutti gli istanti, le persone, le cose»

Antonio Tabucchi, Scrittore e Critico Letterario

Cosa sarebbe successo se

In queste parole, che si trovano nel terzo racconto del libro, si può capire l’interpretazione di Tabucchi riguardo la vita, intesa come un rebus dove tutto è affidato al caso. 

Per lui è centrale il “cosa sarebbe successo se”, così come il fascino attraente delle strade non percorse, del non detto e dell’insopprimibile voglia di riscrivere le nostre vite.

I personaggi di queste storie non prendono scelte, ma sono guidati dagli eventi.

Non si può infrangere il destino perché la storia è già scritta, perché la vita è determinata da quei piccoli equivoci senza importanza, che lavorano nell’ombra mettendo in discussione le nostre certezze, lasciando solo il dubbio.

Come si dice nel primo racconto che dà il nome alla raccolta: «tutto era davvero un piccolo equivoco senza rimedio che la vita si stava portando via, ormai le parti erano assegnate ed era impossibile non recitarle». 

Antonio Tabucchi ci invita a riflettere sull’ironia della vita: non siamo artefici del nostro destino, ci ritroviamo gettati in balia del disordine degli equivoci che per lui sono “senza importanza” proprio perché se qualcosa deve succedere, prima o poi accadrà, indipendentemente da noi e dalle nostre volontà. 

Sono “senza importanza” perché sono eventi così piccoli e irrilevanti rispetto al lungo corso della vita, che comunque è già stato deciso.

Antonio Tabucchi - "Piccoli equivoci senza importanza"

Piccoli equivoci che hanno avuto una grande importanza

Quanti errori invece, se ci pensiamo bene, sono stati fatti ed hanno cambiato per sempre la storia. Tante volte non si è trattato di grandi imprese o lampi di genio, ma proprio di quei “piccoli equivoci” a cui Tabucchi non dava importanza. 

È impossibile pensare di poter avere il controllo su tutto. 
Chissà, magari nemmeno il così tanto discusso destino riesce a stare al passo con le nostre decisioni irrazionali, prese senza pensarci due volte. O anche semplicemente con l’evoluzione che abbiamo fatto e continuiamo a fare nel tempo. Perché non c’è storia senza evoluzione. 

Ci sono tanti esempi di piccoli errori, malintesi ed equivoci, che invece hanno avuto importanza, a differenza di quello che ci vuole far credere il grande Tabucchi. 

Alcuni di questi sono stati fatti casualmente, ma tanti altri vengono pensati nei particolari per essere insediati nella società di oggi, in cui è possibile diffondere qualunque cosa ad una velocità capillare scatenando effetti inimmaginabili.

Le innumerevoli porte chiuse di JK Rowling

Basti pensare a JK Rowling: forse non tutti sanno che la bozza di Harry Potter era stata rifiutata da più di dieci case editrici prima di vedere la luce e diventare una delle saghe più conosciute al mondo. 

Non potremo mai sapere cosa sarebbe successo se la scrittrice avesse fatto colpo alla prima volta o se avesse deciso di demordere dopo così tante delusioni.

Le origini della ricetta di Coca Cola

Dietro alla famosa bibita conosciuta con il nome di Coca Cola c’è un piccolo segreto. 

La Coca-Cola nacque l’8 maggio del 1886 e a crearla fu il farmacista John Stith Pemberton, grazie all’uso di una caldaia. Il suo obiettivo non era quello di creare una bevanda ma uno sciroppo contro il mal di testa, servendosi di estratti vegetali e noci di cola. 

Quando aggiunse della soda al suo sciroppo si rese conto che la Coca-Cola si trasformava in una bibita piacevole e dissetante. Ed è così che nacque la bevanda la cui ricetta rimane segreta ancora oggi, custodita in una cassetta di sicurezza di una banca di Atlanta. 

Se non ci fosse mai stata questa intuizione da parte del farmacista, chissà se avremmo mai assaggiato quella che oggi è una delle bevande più amate.

Sui social gli errori sono sempre un caso?

Il caso Tom Holland

L’attore britannico Tom Holland, tra i protagonisti dei film targati Marvel, è conosciuto per il fatto che più volte, soprattutto sui social, si è lasciato sfuggire delle anticipazioni che non era autorizzato a trapelare.

È tutto un caso o un’autentica strategia studiata a tavolino?
Un motivo c’è se colui che interpreta Spider-man ha acquisito la simpatica nomea di Spoiler-man. Ma pensare che un attore del suo calibro possa permettersi di essere così “distratto” è da escludere dalle possibilità. 

Al giorno d’oggi è chiaro che i social media vengano utilizzati anche a scopo pubblicitario, perché rappresentano il mezzo di diffusione forse più veloce e potente che abbiamo a disposizione.

La viralità dei contenuti sui social media

social network sono utilizzati per lo scambio di notizie e di opinioni su ogni argomento e per molte persone sono diventati la fonte primaria presso cui informarsi.

social media rappresentano un grande strumento di marketing, utile per pubblicizzare le attività, ampliare la rete di contatti ed interagire direttamente con il pubblico.

Tanti contenuti online, su piattaforme come Tik Tok, Facebook e Instagram, vengono architettati appositamente per essere resi virali e fare scalpore. 

Quasi niente è lasciato al caso sui social. Si tratta di un modo di comunicare che non nasce in una notte, ma che è stato studiato ed analizzato.

Sul web si parla di viralità quando un contenuto viene diffuso ad una velocità e in un modo incontrollabile. Personaggi che fino a poco prima erano sconosciuti e sono diventati famosi nel giro di poco tempo ne sono un esempio lampante.

Lo strano caso del cinguettio degli Uffizi

Lo scorso 17 novembre, l’account Twitter ufficiale degli Uffizi ha diffuso in rete un post enigmatico, che non aveva niente a che vedere con il tono e i contenuti a cui è abituata la community social del museo fiorentino.

Il tweet con la strana scritta “Plllpppplllllpplpha generato in qualche ora centinaia di condivisioni e commenti: gatti che camminano sulla tastiera, gif e meme.

Successivamente gli Uffizi hanno pubblicato una risposta che ha divertito i molti seguaci: “Grazie per aver partecipato al primo contest dadaista. La #Plllpppplllllpplp Community è ufficialmente nata. Alla prossima!!! Rgrrfyyytffdsghh”.

Il post è stato un genuino “errore” compiuto da colui che è stato definito il social media manager più giovane di sempre: pare che durante l’iniziativa Uffizi Kids, un bambino abbia preso il cellulare di un’operatrice.

Tweet Gallerie Uffizi - #Plllpppplllllpplp Community

Conclusioni

Certo, gli errori sono comprensibili anche nel web, anzi soprattutto in esso, perché talvolta la fretta di condividere e di far sapere al mondo sembra più importante della veridicità dei fatti, per cui si tende a preferire la fugacità ad una maggiore cura ed attenzione.

In molti casi, come abbiamo visto, si tratta di una geniale e camuffata strategia.
Tante altre volte, invece, è necessario riconoscere che errare è umano. Anche in un mondo in cui le macchine, i computer e le tecnologie stanno iniziando ad assumere sempre più potere a discapito dell’uomo. 

Fonti

Sitografia

Musica a Suon di Marketing

Dietro il lancio di un nuovo disco o singolo ci sono giorni e giorni di studi e analisi. Trovare il canale più giusto per comunicare ai propri fans è molto difficile, si deve riuscire ad arrivare dritti al cuore e non deludere le aspettative. 

 

Quando il settore del marketing e della comunicazione incontra quello della musica possono nascere opere d’arte degne di nota.

Già di per sé la musica rappresenta una componente importante nelle strategie di marketing, in quanto molto spesso viene impiegata nella realizzazione di campagne pubblicitarie, e le sue influenze sui consumatori finali sono ampiamente studiate dalla branca del neuromarketing.

Ma oggi vorrei parlare più di come il lancio di un nuovo album viene pubblicizzato dalle etichette discografiche

Al giorno d’oggi è molto difficile creare stupore nel pubblico di riferimento, soprattutto se il target è quello dei millennials, generazione della comunicazione ormai abituata a tutto, e molto difficile da stimolare e attrarre.

Per tale motivo per sponsorizzare i propri album, gli artisti e relative Label devono promuovere idee geniali, creative e soprattutto insolite.

Andiamo a vedere insieme alcuni teaser musicali estremamente creativi.

 

Adele e il suo album “30”

Il 19 novembre 2021 è uscito l’album “30” di Adele. In occasione di questa pubblicazione sono apparsi in giro per tanti maxischermi mondiali dei numeri 30. Questi indizi numerici semplici hanno fatto il giro dell’Europa partendo da Londra, fino ad arrivare a Parigi, Dublino, New York, persino da noi, facendo la loro comparsa nelle stazioni ferroviarie di Milano Centrale e Roma Termini.

Immagine che ritrae un maxischermo con su scritto 30. Campagna pubblicitaria per l'uscita dell'album 30 della cantante Adele.

L’idea ha creato una suspence incredibile per i fan della cantante che hanno capito subito di cosa si trattasse, mentre ha instillato curiosità e interesse in chi non aveva la più pallida idea di che cosa stessero a significare quei 30. Un’idea di marketing musicale brillante che ha canalizzato bene l’attenzione del pubblico sull’artista.

 

Radiohead e l’offerta per “In Rainbows”

Il 10 ottobre 2007 è stato lanciato in tutto il mondo l’album “In Rainbows” dei Radiohead.

Quegli anni rappresentano un periodo di transizione, dal CD fisico alla musica passata su supporto digitale. Questo passaggio è stato per così dire “obbligato”, poiché le case discografiche hanno avuto la pessima idea di rendere i CD un articolo non propriamente conveniente, ma anzi molto caro in relazione soprattutto alle possibilità economiche dei ragazzi, principali consumatori dell’industria musicale.

Per far fronte a questo problema i Radiohead, (senza l’appoggio di nessuna etichetta discografica), hanno deciso di vendere il CD di “In Rainbows”, ad offerta libera.

Questa tecnica di marketing oltre ad essere stata apprezzata tantissimo dai giovani è stata anche molto proficua, in quanto dovendo versare un’offerta a piacimento per acquistare il CD, molto spesso le persone sono state propense ad offrire più di quanto sarebbe stato il costo effettivo.

 

Gazzelle e l’uscita di “OK”

Lo scorso febbraio Gazzelle ha dato alla luce il suo terzo album denominato “OK”. Il progetto per l’uscita di questo nuovo album è stato attentamente studiato da esperti di marketing. Infatti, il martedì antecedente al lancio il cantante ha postato tramite le sue IG stories una frase esplicita “Che succede a Milano?”. Dopo questa prima IG Story, Gazzelle ne ha pubblicate altre contenenti fotografie di cassette antincendio con su scritto la famosissima frase “rompere in caso di emergenza”.

Queste cassette antincendio sono state dislocate in varie zone molto frequentate del capoluogo lombardo, come i Navigli, o il Duomo. Di prioritaria importanza è però il contenuto; infatti, al loro interno sono stati depositati una serie di vinili dell’album OK. Quindi i fortunati che sono stati in grado di trovare le cassette prima di tutti sono riusciti ad accaparrarsi gratuitamente un vinile di Gazzelle dell’album che sarebbe uscito di lì a pochi giorni.

Una tattica di marketing che ha scatenato i giovani appassionati di Gazzelle spedendoli in giro per Milano alla ricerca delle fantomatiche cassette antincendio.

Cassetta anti incendio contenente l'album di Gazzelle con su scritto il titolo

Ma non è la prima volta che il team marketing di Gazzelle tira fuori idee geniali. Anche per la pubblicazione del singolo “Destri” l’etichetta discografica del cantante ha deciso di tappezzare l’intera città con poster con su scritto frasi della canzone.

 

La Guerrilla degli Arcade Fire

Per chi fosse a digiuno di marketing e comunicazione, la Guerrilla rappresenta una strategia di marketing che prevede l’intromissione spudorata e prepotente di messaggi, impiegando mezzi non convenzionali e molto stimolanti, andando ad invadere territori che finora non erano stati utilizzati per quella strategia di sponsorizzazione.

Nel lancio della loro campagna pubblicitaria per l’uscita dell’album “Reflektor” del 2013, gli Arcade Fire hanno utilizzato proprio questa tecnica.

Immagini di street art con scritto Reflektor, il nome dell'album musicale degli Arcade FIre.

Il gruppo musicale indie canadese ha deciso di sponsorizzare il suo quarto LP sfruttando opere di street art, graffiti e scritte, sparse in tutta New York e Los Angeles, un’idea sicuramente innovativa e inconsueta.

 

Chinese Democracy, l’album dei Guns N’Roses

I Guns N’Roses rappresentano uno dei capisaldi della musica rock statunitense. Anche se non sei appassionato di rock è difficile che tu non li conosca.

In occasione dell’uscita di Chinese Democracy, il team di marketing che cura il gruppo musicale ha previsto un’attesa letteralmente infinita. Infatti, risulta che l’album sia stato iniziato nel 1994 ma è uscito effettivamente sul mercato musicale mondiale soltanto il 23 novembre del 2008. Questa scelta ha scatenato un forte desiderio e impazienza da parte del pubblico, in grado di tenerne attiva l’attenzione in maniera efficace e per un periodo di tempo piuttosto prolungato.

 

Beyoncé e “Beyoncé”

L’album “Beyoncé” della regina del pop statunitense ha avuto un lancio a dir poco improvviso.

Di solito tra la pubblicazione dell’album e l’arrivo di quest’ultimo nei negozi musicali passa sempre qualche mese. In questo periodo capita purtroppo che alcune tracce dell’album vengano estrapolate e giungano in pochissimo tempo sui canali di streaming o di torrent.

Per scongiurare questa modalità non particolarmente legale né tanto meno piacevole per l’artista, l’etichetta discografica di Beyoncé ha deciso di attuare una strategia di marketing eliminando il lasso di tempo fra il lancio e l’effettiva messa in vendita, uscendo direttamente con quest’ultima, cioè lanciando l’album insieme alla sua messa a scaffale.

Questa tecnica strategica, oltre a disincentivare tutta la dimensione dello streaming illegale, ha colto completamente di sorpresa i fan della cantante riuscendo a stimolare la loro attenzione in maniera stupefacente!

 

Conclusione

Raccontare tramite una campagna pubblicitaria l’uscita di un nuovo album è un’impresa piuttosto difficile, soprattutto perché è importante veicolare i valori e i messaggi intrinseci dell’artista o del gruppo. Ogni album musicale ha una propria identità ed è necessario venga raccontato a 360°, portando in superficie l’essenza di cui è composto.

La Teoria della Coda Lunga: ovvero la formula del successo nell’era digitale

Come si costruisce un buon progetto nell’era digitale? Come si fa a rendere redditizio un piccolo business sfruttando i contenuti? Cosa vuol dire puntare sul lungo periodo?

Per rispondere a queste domande entra in gioco proprio lei: la Teoria della Coda Lunga.

Ai tempi dei nostri nonni c’era un vecchio proverbio che recitava più o meno così: “chi semina, raccoglie”. Se si semina bene un campo, allora si otterrà un buon raccolto. I frutti del proprio lavoro si vedono appunto sul lungo termine. Questa è la prima chiave di lettura della Teoria della Coda Lunga.

Anche nell’era digitale ci sono dei campi da seminare e dei frutti da raccogliere. La dinamica è certamente più complessa, ma il concetto alla base è sempre lo stesso: più si semina e più si ha la probabilità di raccogliere qualcosa di buono. Ovviamente, è necessario che i semi siano di qualità e che il terreno sia costantemente innaffiato con cura.

Partiamo quindi da questo vecchio proverbio per iniziare a comprendere il potenziale della celebre teoria di cui parleremo in questo articolo.

Cos'è la Teoria della Coda Lunga?

Chris Anderson

La teoria della coda lunga (The long tail) è stata elaborata da Chris Anderson nel 2004. La sua prima formulazione compare all’interno dell’omonimo articolo pubblicato sul magazine Wired, rivista in cui Anderson è stato caporedattore dal 2001 al 2012.

Si tratta della teoria che sta alla base del successo dei grandi player digitali, come Amazon, Netflix e Google. Il loro business model è infatti basato proprio sulla cosiddetta long tail (la coda lunga).

Nell’era digitale, una buona strategia di comunicazione, di marketing e di vendita non si rivolge più alla massa indistinta; si tratta invece di guardare alle nicchie di pubblico, la cui somma è uguale o addirittura maggiore rispetto al pubblico di massa.

In passato, gli spazi in cui conservare ed esporre prodotti e contenuti erano limitati: prendete come riferimento gli scaffali delle librerie e il palinsesto dei canali televisivi. Se lo spazio è finito, il modo migliore per catturare l’attenzione del destinatario e massimizzare le vendite è quello di offrire i contenuti più gettonati, quelli più popolari, le hit del momento, i grandi successi.

Con l’avvento di Internet e della sfera pubblica digitale il paradigma è completamente cambiato. Siamo passati in breve tempo da strumenti di massa per le masse a strumenti personalizzabili per le nicchie.

I vecchi mezzi di comunicazione di massa, generalisti per natura, hanno perso gradualmente la loro efficacia in favore di nuovi strumenti di distribuzione di contenuti e di vendita di prodotti e servizi.

In poche parole, se in passato il successo commerciale era dato esclusivamente dai cosiddetti best seller, con l’avvento del digital hanno iniziato a essere profittevoli anche i prodotti meno conosciuti e meno venduti.

Vediamo adesso nel dettaglio cosa significa tutto questo e le conseguenze che ha avuto sull’economia digitale e non solo.

Davide contro Golia, ovvero la rivincita dei contenuti di nicchia sullo strapotere della massa

La teoria della coda lunga - Il Grafico

Come si vede dal grafico in foto, il numero di vendite (unitarie) per un singolo prodotto di nicchia è nettamente inferiore al numero di vendite (unitarie) per un singolo prodotto di massa. Fin qui nessuna novità.

Ma ecco che entra in gioco la grande rivoluzione. Il cambio di paradigma sta appunto nel seguente assunto: se i prodotti di massa (le hit, i best seller) sono limitati per quantità, i prodotti di nicchia tendono all’infinito.

In poche parole, le hit del mercato sono poche, mentre la restante parte del mercato è composta da una quantità di prodotti potenzialmente infiniti. Di conseguenza, la somma delle vendite di tutti i prodotti di nicchia è uguale, o addirittura superiore, alla somma delle vendite dei prodotti di massa.

n. Prodotti di Massa (hit, best seller)
0%
n. Prodotti di Nicchia
0%

Infatti, gli aggregatori di contenuti e le librerie digitali ottengono un cospicuo guadagno vendendo contenuti di nicchia, evitando di concentrarsi esclusivamente sui successi commerciali. 

La strategia più comune è quella del cross-sell, messa in atto attraverso gli algoritmi di recommendation: se ti piace questo prodotto, ti consiglio di provare anche quest’altro che è molto simile al primo e che forse non conosci. 

Sarà capitato sicuramente a tutti di andare su un ecommerce per acquistare un prodotto e poi aggiungere al carrello un prodotto correlato. O ancora di andare su una piattaforma digitale per vedere un contenuto audiovisivo e poi fare binge watching guardando altri contenuti sulla base di quelli consigliati dalla piattaforma stessa. Youtube, Netflix, Spotify e tanti altri ancora utilizzano proprio questo sistema.

La teoria della coda lunga su Amazon
Scheda di prodotto su Amazon del libro La coda lunga
L'algoritmo di Amazon "spesso comprati insieme"
Ecco come funziona l'algoritmo di Amazon che ti consiglia un prodotto correlato: quando acquisti un prodotto su Amazon ti vengono consigliati altri prodotti simili da aggiungere al carrello. È la più comune strategia di cross-sell.

La teoria della coda lunga applicata alle vendite

Facciamo adesso un breve esempio per spiegare la Teoria della Coda Lunga.

5 prodotti best seller vendono in media 100 copie unitarie al prezzo di € 10 a copia. Il totale ricavato sarà pari a:

  • 5*100*10 = € 5.000

95 prodotti best seller vendono in media 10 copie unitarie al prezzo di € 15 a copia (un prodotto di nicchia, per ragioni di economia di scala, avrà quasi certamente un prezzo maggiore rispetto a un best seller). Il totale ricavato sarà quindi pari a:

  • 95*10*15 = € 14.250

Anche volendo ipotizzare un identico prezzo unitario, il ricavo generato dalla somma dei prodotti di nicchia sarebbe comunque superiore a quello generato dalla somma dei best seller:

  • 95*10*10 = € 9.500

Ovviamente qui siamo pur sempre nella dimensione teorica e i dati utilizzati per l’esempio non hanno alcuna origine empirica. Si potrebbe obiettare che 10 unità per prodotto di nicchia sono eccessive. Anche dimezzando la quantità di unità vendute il concetto rimane comunque valido e saldo. Ed è bene ricordare che grazie alle strategie di cross-sell i prodotti di nicchia aumentano esponenzialmente il numero di unità vendute, dato che che spesso sono abbinati alla vendita dei prodotti best-seller.

Ricavo dai Prodotti di Massa
0 .000 €
Ricavo dai Prodotti di Nicchia (prezzo con economia di scala)
0.500 €
Ricavo dai Prodotti di Nicchia (stesso prezzo unitario)
0.250 €

Le ragioni di un cambio di paradigma

Sono essenzialmente quattro le novità che hanno permesso questi grandi cambiamenti: 

  1. la diffusione della banda larga;
  2. lo spazio potenzialmente illimitato sugli “scaffali virtuali”;
  3. la riduzione dei costi di stoccaggio (praticamente tendenti a zero nel caso di prodotti e servizi digitali);
  4. la possibilità di aggregare in un’unica piattaforma le disponibilità di differenti magazzini sparsi per il globo.

Questo ha inoltre permesso ai player digitali di rendere accessibili contenuti dimenticati e infondere loro nuova linfa vitale grazie al meccanismo delle recommendation citato poco sopra: se acquisti un certo prodotto, l’algoritmo ti consiglia un prodotto simile. Magari un prodotto limitato. Magari un vecchio libro che in passato non aveva riscosso successo e che grazie alle recommendation può tornare ad avere nuova linfa vitale e diventare a sua volta un best seller a posteriori.

Ed è esattamente quello che è accaduto con il libro Touching the Void (1988) di Joe Simpson. Nell’anno di uscita il testo riscosse un moderato successo, ma non al punto da renderlo un best seller. Circa dieci anni più tardi, con l’uscita del libro Into Thin Air (1997) di Jon Krakauer, l’algoritmo di Amazon rese popolare anche il libro di Joe Simpson, proprio grazie al meccanismo delle recommendation. Questo esempio è riportato anche nell’articolo originale di Chris Anderson sulla long tail.

Quanto detto fino a questo momento si unisce alla logica anything, anytime e anywhere: ovvero qualsiasi contenuto o prodotto, in qualsiasi momento e in ogni luogo.

Chris Anderson riassume la sua teoria con le seguenti parole, da tenere bene a mente per capire con che logica si affrontano le sfide nell’era digitale:

«Dimentica di spremere milioni da poche hit in cima alle classifiche. Il futuro dell’intrattenimento è nei milioni di mercati di nicchia nella parte bassa della classifica delle hit»

Chris Anderson: Identifying “The Long Tail”

La Long Tail applicata alla SEO: come essere primi su Google (o forse no)

A distanza di molti anni, questa teoria continua a essere il cardine di ogni strategia digitale (e non solo). Gli sforzi di qualsiasi progetto si vedono sul lungo termine, grazie all’accumulazione di contenuti che piano piano intercettano sempre più utenti. Contenuti che continuano a mantenere una propria vita grazie all’indicizzazione e al posizionamento sui motori di ricerca, a patto che vengano rispettate le buone pratiche di Search Engine Optimization (SEO)

Lavorare bene sui propri contenuti significa contribuire ad allungare la propria coda lunga. E quanto lunga deve essere questa coda nessuno può dirlo: dipende dagli obiettivi che si intendono raggiungere e quanto lontano si vuole andare.

In una strategia di posizionamento sui motori di ricerca, la teoria della coda lunga è senza alcun dubbio un alleato importante. Ogni brand e impresa vorrebbe posizionarsi sulle keyword principali del proprio settore e/o sfruttare la paid search sulle parole chiave più cercate. Questo però comporta due problemi:

  1. Alta concorrenza e quindi alta competizione, ovvero si corre il rischio di essere un pesce in mezzo al mare. E nel caso di competitor particolarmente grandi, un pesce in mezzo agli squali;
  2. Maggior costo delle keyword nella paid search: maggiori sono gli inserzionisti che partecipano alle aste e maggiore è il costo delle inserzioni (per la legge della domanda e dell’offerta).

Per ovviare a questi problemi, una buona strategia SEO tende a prediligere le cosiddette long tail keyword, o più semplicemente, le parole chiave a coda lunga.

  • Esempio di parola chiave: ristorante di pesce; ristorante di carne;
  • Esempio di parola chiave a coda lunga: ristorante di pesce in riva al mare; ristorante con carne da allevamenti italiani;

La keyword “ristorante di carne” avrà senza alcun dubbio un maggior volume di ricerche mensili e quindi sarà visualizzata da più persone. Ma avrà anche certamente un maggior numero di competitor e un maggior costo nel caso della pubblicità a pagamento sui motori di ricerca.

Utilizzare le long-tail keyword, se individuate nel modo giusto, permette di abbattere i costi del SEM (Search Engine Marketing) e contribuire alla buona organicità della SEO (Search Engine Optimization).

Per la teoria della coda lunga, la somma delle long-tail keyword potrebbe produrre un volume di ricerca maggiore rispetto a una singola parola chiave più gettonata. Ovviamente alla teoria deve seguire la pratica: ogni settore ha le sue peculiarità e necessita di una strategia cucita su misura.

Conclusioni

I campi di applicazione della Teoria della Coda Lunga e le relative modalità sono senza alcun dubbio molteplici e diverse tra loro. Dalla selezione delle parole chiave alla selezione dei prodotti da esporre nel proprio store virtuale; dalla pubblicità a pagamento passando per la produzione di contenuti per il proprio piano di content marketing.

I concetti alla base, però, sono sempre gli stessi:

  1. Pensare tanto alla nicchia quanto alla massa;
  2. Concentrarsi sul lungo termine, e non esclusivamente sul breve termine;
  3. Avere pazienza, perché ogni strategia che si rispetti richiede calma e sangue freddo.

E giunti alla fine di questo articolo è necessario dire le cose come stanno: ebbene sì, questo contenuto fa proprio parte della personalissima coda lunga di Midable.

Fonti consultate e approfondimenti

Questo articolo è una rielaborazione e un ampliamento di un contenuto pubblicato sulla pagina Instagram di Midable in data 8 agosto 2020.

Ecco perché non riusciamo a staccarci dallo schermo: captology e tecniche persuasive

Il computer come alleato o come manipolatore delle menti? 

La relazione fra uomo e computer, soprattutto se riferita ai nuovi social media, sta diventando il tormentone degli ultimi anni. Fra minimizzatori e allarmisti la captologia sta portando a un’analisi più dettagliata delle interrelazioni fra privacy, utilizzo dei dati e grandi colossi mondiali. È forse il caso di temere per il nostro futuro?

The Social Dilemma e il risveglio delle coscienze

Mentre il dibattito fra sociologi e psicologi dura da tempo, il problema della possibile manipolazione delle nostre menti attraverso l’uso del pc e dei social media ha assunto maggior spessore dopo l’uscita del film documentario The Social Dilemma.

Questa pellicola, presentata il 26 Gennaio 2020 al Sundance Film Festival, è stata distribuita nel Settembre dello stesso anno su Netflix, diventando in breve tempo uno dei film più visti dal pubblico della piattaforma.

Il dibattito si è infuocato e ognuno di noi ha avuto la possibilità di conoscere il problema o quanto meno di porsi alcune domande in modo diretto.

Il documentario The Social Dilemma è un atto di accusa fatto dall’interno, dagli stessi “costruttori” dei social network verso le loro creazioni. Il tutto prende vita da una serie di domande, risposte, dialoghi, considerazioni e rivelazioni che il regista Jeff Orlowski assembla e propone al grande pubblico.

Le voci che danno vita al film sono importanti e di grande spessore (come Tristan Harris, “protagonista” ed ex consulente etico di Google).

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Un mondo "drogato" dai social media

Secondo il documentario, sono sempre di più le generazioni rassegnate a vivere in una forma di isolamento dalla realtà. Menti manipolate che non possono più decidere niente, perché ormai è la macchina che decide per loro. 

Ma è veramente un sistema sfuggito al controllo, oppure come sostengono alcuni il documentario propone solo temi scontati trasformando gli utenti in zombie virtuali senza più capacità intellettiva?

I social network fanno male alla salute delle persone e creano dipendenza al punto da alienare l’individuo e orientare le sue scelte attraverso gli algoritmi?

Un’estinzione imminente per l’umanità o un allarmismo senza fondamento, considerando che tutto può essere pericoloso o utile, ma dipende soltanto dall’uso che ne viene fatto.

Sicuramente la relazione fra i dati forniti dagli utenti e le multinazionali che li detengono pone un problema etico e sociale: la necessità di una regolamentazione.

Una regolamentazione sull’utilizzo di quei dati sta diventando una richiesta sempre più pressante da parte delle associazioni dei consumatori, dei sociologi e psicologi del mondo.

Ma come ci poniamo di fronte a questi strumenti?

Non bene. Da studi effettuati negli Stati Uniti emerge che mediamente un adulto trascorra due ore al giorno sui social e un adolescente fino a nove.

Anche non volendo dare credito alla posizione catastrofica del lungometraggio di Orlowski, il tempo dedicato allo scrolling sui social è veramente tanto.

Che questo sia voluto dagli stessi informatici che li hanno progettati per svegliare in noi un bisogno compulsivo, oppure sia solo il risultato delle nostre solitudini, una domanda dobbiamo porcela:

ci rendiamo conto di quante ore di una nostra giornata tipo regaliamo al mondo virtuale sottraendole a quello reale?

Certo, come sostengono altri studi, il problema è complesso e coinvolge non soltanto il tempo trascorso, ma anche i contenuti visualizzati.

Per tutte le cose dipende molto dall’uso che ne viene fatto e questo vale anche per l’argomento che stiamo trattando. Durante il periodo della pandemia Covid-19 sicuramente i social possono essere diventati punti di contatto per emergere da una solitudine imposta dalle restrizioni sanitarie.

La Captologia

A cercare di dare una risposta alle tante domande che sicuramente ci stiamo ponendo arriva in soccorso la scienza nella nuova veste della Captologia.

L’Enciclopedia Treccani definisce la captologia nel seguente modo:

«Branca delle scienze sociologiche che studia l’impatto delle tecnologie interattive su comportamenti, abitudini, convinzioni di chi naviga in rete»

Questa scienza nasce nel 1996 dalla coniazione del termine “Captology” fatta dal Dott. Fogg (direttore del Laboratorio di Tecnologia Persuasiva presso la Stanford University).

Il termine “Captology” è stato coniato dallo stesso Fogg dall’acronimo CAPT (Computers As Persuasive Techonogies).

Dr. Brian Jeffrey Fogg
Dott. Brian Jeffrey Fogg

Prima di affrontare il tema dell’utilizzo dei pc come tecnologie persuasive dobbiamo dare la definizione di cosa si intende con il termine “persuasione”.

La persuasione possiamo vederla come il tentativo di far fare a un soggetto ciò che non farebbe di sua spontanea iniziativa.

Se vale la regola che più una persona ci conosce e più è in grado di persuaderci, certamente i pc – strumenti nati per supportarci nelle attività quotidiane di studio, lavoro e intrattenimento – possono diventare dei persuasori occulti estremamente potenti. Il computer diventa quindi il miglior mezzo per manipolare le persone e farsele amiche.

Secondo gli studiosi di captologia, il nostro più grande problema è quello di ritenere i pc neutrali, o peggio ancora, quello di rapportarsi a loro come se fossero delle persone.

Non avendo ancora un carattere intenzionale, le intenzioni manipolatorie dei computer sono quelle dei programmatori e non certamente quelle dei computer. Questi, per adesso, analizzano e raccolgono ciò che un algoritmo gli comanda, a seconda delle intenzioni e dei bias di chi ne ha sviluppato il software e progettato l’architettura informativa.

Ormai il valore di un’azienda non dipende più soltanto dal capitale o da ciò che sa fare, ma dipende soprattutto dal patrimonio dei dati che possiede. Più noi forniamo dati (con iscrizioni, cookies, ricerche etc.) più veniamo targhettizzati.

La profilazione del target

La pratica della profilazione è diventata uno degli elementi fondamentali alla base di ogni scelta di marketing aziendale.

Pensiamo soltanto a ciò che ci viene proposto da Google oppure da Facebook. Quando facciamo una ricerca, immediatamente compaiono sui nostri social pubblicità e articoli riferiti a ciò che abbiamo cercato.

E se da un lato ci aiuta a farci vedere ciò che ci interessa veramente, dall’altro limita molto le nostre conoscenze o idee su determinati argomenti, non mostrando una voce diversa dalla nostra.

Altro esempio che sicuramente è successo a tutti noi è quello di incappare nelle tecnologie di geofencing, le quali ci portano ad avere informazioni sull’acquisto di negozi vicini a noi o segnalazioni di luoghi dove siamo passati (Google lo fa continuamente attraverso Google Maps).

Tecnologie Persuasive

Facciamo adesso qualche esempio di tecnica persuasiva usata dai social e cerchiamo poi di scovarle nella nostra quotidianità per vedere se inconsapevolmente ci siamo cascati.

Possiamo difenderci da qualcosa solo se la conosciamo.

Facebook ha una tecnologia persuasiva potentissima e studiata per inchiodarci il più possibile allo schermo. Pensiamo ad esempio al tagging: un messaggio comunica che sei stato taggato, ma non fornisce altra informazione, costringendoti quindi ad aprire l’app per scoprire il contenuto del tag e magari rimanere incollato sul social una volta al suo interno.

Questa tecnica fa aumentare il tempo di permanenza sui social. E più tempo si trascorre sul social più pubblicità vediamo e più dati forniamo all’algoritmo.

Alla base dell’intelligenza artificiale che regola questi strumenti c’è semplicemente un algoritmo. Più vieni inchiodato a visualizzare determinati contenuti e più vengono proposti contenuti simili, con un bombardamento continuo di spot, notifiche, email e così via.

Smartphone e Slot machine

slotmachine-smartphone

Sempre in riferimento ai meccanismi che vanno ad agire sul nostro intento, lo smartphone è stato paragonato a una slot machine: sempre a nostra disposizione, è ormai diventato una presenza imprescindibile del nostro vivere quotidiano.

Forse non ci rendiamo conto che il display tecnologico e le app accattivanti molto spesso ci portano a consultare spasmodicamente il telefono senza un bisogno effettivo.

Lo strumento del “rullo virtuale”, tipico delle slot machine, viene infatti usato anche dai più importanti social. Se ci pensiamo, Facebook è la più grande slot machine del mondo:

i like sono la moneta sociale che ci lega alla piattaforma, dandoci quel senso di gratificazione ogni volta che vediamo che qualcuno ha lasciato un riconoscimento su una nostra pubblicazione.

Ogni notifica ricevuta è assimilabile a un giro del rullo, il quale si traduce in nuovi scrolling e in maggior tempo passato sul social.

Le stesse richieste di contatto sono determinate da un algoritmo che propone nuove persone sulla base delle conoscenze acquisite, delle affinità dei profili e dei comportamenti online. In questo modo si viene a creare un mondo chiuso fra soggetti che la pensano in modo uguale o vivono in modo simile.

Un problema etico questo per una società come la nostra, fondata sull’ideale della libera scelta individuale e sulla libertà più in generale.

Conclusioni

Sicuramente quello che oggi manca maggiormente nelle persone che utilizzano i social è la consapevolezza di ciò che avviene dietro a ogni loro click.

Una regolamentazione più ferrea e una informazione più accurata potrebbero arginare il rischio che uno strumento così innovativo e importante possa trasformarsi in un boomerang pericolosissimo.

La conoscenza è sempre alla base di ogni libera scelta. E se la scelta è libera, lo spazio per la manipolazione diventa esiguo.

Educare all’uso dei computer e delle tecnologie digitali dovrebbe diventare materia di studio al pari della letteratura e della matematica. Il progresso non può prescindere dalle nuove tecnologie, ma l’uomo ha bisogno di strumenti e di tempo per capire come riprendere in mano il timone della propria esistenza.

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