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Categoria: Digital Marketing

La fidelizzazione al brand nell’era digitale, il caso Burberry

Le nuove tecnologie e la digitalizzazione stanno producendo un cambiamento totale nel modo di comprare, pensare, lavorare e vivere.

Non solo da un punto di vista puramente tecnologico e informatico, ma anche sociologico, filosofico e psicologico. Negli ultimi anni si è scritto molto sui profondi mutamenti che il digitale sta apportando alla vita dell’uomo e al suo essere cittadino del mondo.

Una forte accelerazione a questo cambiamento è stata data dalla pandemia del 2020-2021 che da un giorno all’altro ha paralizzato l’intero pianeta; questo nuovo scenario mondiale ha spinto verso soluzioni alternative e reso indispensabile il ruolo della tecnologia digitale.

Il potere delle community

A seguito della lettura del testo #community manager dietro le reti ci sono le persone di Osvaldo Danzi e Giovanni Re, ho cercato di comprendere come anche nel settore della moda, queste innovazioni e cambiamenti avessero preso atto.

Non ero a conoscenza dell’utilizzo delle community così come sono state illustrate nel libro e questo mi ha fatto riflettere su quanti nuovi metodi di fidelizzazione e comunicazione potessero prendere forma soprattutto con l’innovazione digitale.

Argomenti come la brand community, la digitalizzazione e purtroppo i postumi economici e psicologici della pandemia in corso di Covid-19 mi hanno aperto la strada ad effettuare nuove ricerche di settore per comprendere i nuovi potenziali scenari che si prospetteranno in un prossimo futuro.

Ciò che è emerso è una nuova sfida che attende le aziende di moda nel passaggio dalla vecchia filiera di produzione e commercializzazione fino alla nuova necessità di maggiore presenza sul web usando tecnologie innovative e impensabili fino a pochi anni fa.

Strategie da brevi a lungo termine

Dal sempre maggior utilizzo dell’e-commerce alla realtà aumentata come trampolino di lancio per una nuova strategia di proposizione e vendita dei prodotti. Il nuovo mercato impone scelte immediate per fronteggiare adesso una situazione di emergenza ma in futuro da sfruttare e ampliare per creare un continuum che porti i brand ad un livello superiore e adeguato ai tempi.

Sicuramente non scompariranno i negozi e non si perderà il contatto con il consumatore ma questo potrà essere affiancato da un coinvolgimento totale e personale del quale il consumatore potrà godere direttamente a casa propria.

Umanizzazione del digitale

Da affiancare agli studi prettamente informatici che stanno proiettando i brand in un mondo virtuale tutto da scoprire c’è la continua ricerca a livello sociologico e psicologico di rendere questi nuovi strumenti “umani”. 

Oramai la frontiera più importante è quella della umanizzazione del digitale in correlazione con il riposizionamento al centro dell’intero piano marketing del cliente. Accettando il fatto che il cliente possa non essere direttamente presente e a contatto con il prodotto emerge la necessità per le aziende di entrare in empatia con il consumatore per fornire un servizio sempre più mirato alle sue esigenze.

L’importanza di creare community di brand per accrescere non solo la fidelizzazione ma anche il senso di appartenenza andranno di pari passi con la realizzazione di una sempre maggior personalizzazione del servizio.

Stop and Go - Covid 19

citazione chris morton

Queste righe racchiudono il concetto di ciò che sta investendo il mondo della moda in questo difficile periodo. L’ineluttabilità delle conseguenze di una pandemia globale deve portare ad un’attenta analisi di cosa è successo ma soprattutto ad una necessaria visione di un futuro diverso che sappia cogliere, anche da un momento negativo come questo, linfa nuova di cambiamento.

All'inizio della pandemia

I dati di partenza sono pesanti: un danno economico stimato con cali di fatturato di oltre ⅓ solo nel 2020. Il punto di arresto si è concretizzato su due livelli: in un primo momento con lo stop alla produzione dovuto alla necessità di chiusura delle fabbriche e contemporaneamente con la chiusura della distribuzione che ha comportato una paralisi totale del mercato.

Alcune realtà si sono parzialmente riconvertite in aziende atte a produrre materiale indispensabile per il momento che stiamo affrontando ma sicuramente anche questa occasione non ha risanato il danno ingente all’economia di settore.

 

La risposta dei consumatori

In un successivo momento è intervenuto un comportamento psicologico di sfiducia dell’acquirente che, sull’onda delle preoccupazioni pandemiche, non ha trovato più necessario acquistare beni che, viste le circostanze, apparivano superflui.

Questi nuovi e inaspettati scenari hanno spinto i player del settore moda a rivedere l’intera filiera del comparto, dalla produzione alla commercializzazione, per cercare di adattarsi il più velocemente possibile alle nuove esigenze di vita e di consumo.

La digitalizzazione del fashion marketing

L’utilizzo del canale digitale soprattutto nel momento dell’acquisto del prodotto (e-commerce) da anni sta portando ad abitudini di consumo differenti presupponendo nel futuro scenari nuovi anche per il settore moda.

Questa trasformazione, che all’inizio era una semplice evoluzione moderna con l’introduzione nel fashion marketing dell’utilizzo del digitale, ha subito un’accelerazione pazzesca in un momento in cui l’impossibilità di farsi raggiungere fisicamente dal cliente ha cambiato radicalmente i panorami di promozione e vendita.

Infatti non è stata soltanto la chiusura dei negozi, ma anche l’impossibilità di presentare sfilate o di creare altre occasioni di contatto fisico tra brand ed acquirenti a portare verso un ripensamento dell’intero impianto.

Nuove strategie di vendita e fidelizzazione

Il ricorso all’utilizzo di strumenti virtuali, a due anni dall’inizio della pandemia, non viene più percepito come unico elemento possibile di interrelazione con il mondo esterno, ma come prolungamento delle interazioni fisiche.

Questo cambio di mentalità nel consumatore sta portando anche il settore moda a rivolgersi ad un marketing differente e capace di esplorare potenzialità digitali che fino ad oggi non sembravano avere così tanta importanza.

Quello che fino a questo momento poteva apparire come un gioco accattivante adesso diventa strategia di vendita e fidelizzazione. Con una visione rivolta al futuro l’intero settore sta cogliendo l’evoluzione digitale come nuovo momento di contatto tra cliente e brand spostando il piano d’incontro dall’esterno all’interno delle abitazioni. 

Fashion brand e digital

Il cambiamento che il digitale sta imponendo al fashion marketing lo si riscontra su due diversi livelli: il primo strettamente inerente la capacità di analisi dei dati che l’informatica offre, mentre il secondo rivolto ad un cambiamento radicale dello scenario di promozione e fidelizzazione.

 

L’utilizzo delle piattaforme informatiche e dei social offre la grande opportunità di raccogliere quanti più dati possibili sul cliente: la profilazione, la qualificazione e la gestione di interi patrimoni di dati portano alla possibilità di analisi di mercato precise, di piani budget ben delineati e di interventi continui di ricerca mirati alle esigenze contingenti.

D’altronde diventa e diventerà sempre più importante la centralità dell’acquirente in un mondo che ha definitivamente spostato l’asse dal brand all’utente.

Un nuovo sistema “clientecentrico”

clientecentrico

Le esigenze dei consumatori stanno cambiando velocemente e il processo di trasformazione delle aziende operanti sui mercati retail deve poter procedere di pari passo: empatia, personalizzazione e coinvolgimento.

L’ottica di promozione e vendita non può basarsi soltanto sulla conoscenza storica del marchio e sulla catena dei punti vendita, è cambiato totalmente il panorama di contatto e quindi il sistema è diventato “clientecentrico”.

 

L’azienda deve raggiungere il cliente nella propria abitazione, si deve mostrare, deve essere in grado, sfruttando la tecnologia digitale, di creare emozioni e desideri anche in un panorama di distanza. Diventano peculiari i concetti di community e di user experience per stimolare il cliente all’acquisto.

1. Brand community

Già da anni le brand community hanno rivoluzionato il modo di fare marketing espandendo all’intero mondo internet i confini aziendali. La brand community è una community online basata sull’interrelazione fra azienda e consumatori. Differentemente dagli altri strumenti di marketing i membri delle community non solo parlano con il brand ma anche fra loro e con i dipendenti.

2. La cultura del cliente

Non si tratta più di una comunicazione unidirezionale a cascata ma di una stimolante interazione continua fra esterno e interno che permetterà all’azienda di calibrare meglio le scelte di marketing future. Il cliente si sente ascoltato e aumenta dentro di sé la sua percezione di essere importante nelle scelte aziendali, acquista fiducia in sé e nel brand ed è sempre più orgoglioso di farne parte.

3. Un cliente fidelizzato

Il senso di appartenenza, la comunicazione e la condivisione fanno sì che il rapporto fra utente e brand si estenda andando oltre il semplice acquisto ma acquisendo un valore emozionale che lo porterà ad essere non solo fedele ma anche affezionato. Dalle community all’atteggiamento “digital-first” degli utenti che sarà destinato a consolidarsi in futuro.

4. Marketing empatico

La nuova grande sfida per le aziende sarà proprio quella di sapersi differenziare non solo per i prodotti offerti ma anche per la capacità di creare empatia con l’acquirente, di saperlo coinvolgere e farlo sentire parte di un grande progetto, di conquistarlo non solo più a livello di contatto fisico con l’articolo venduto ma anche a livello indiretto con ogni strumento la tecnologia possa mettere a disposizione. 

La differenza tra User e Customer Experience

User Experience

User Experience o UK è il termine che identifica la relazione fra una persona e un prodotto o servizio. Riguarda, quindi, tutti gli aspetti che coinvolgono l’interazione fra un utente e un brand, è letteralmente “l’esperienza” coinvolgendo in essa tutti gli elementi affettivi, valori ed emozioni che accompagnano il soggetto durante questo percorso

Come migliorare la user experience?

Questa viene sicuramente migliorata grazie all’ausilio delle tecnologie digitali come l’intelligenza artificiale e per questo motivo diventano sempre più importanti i dati di base su cui lavorare per creare messaggi, timing e contenuti più in linea con le esigenze dei singoli utenti.

I brand sono chiamati a compiere una vera e propria connessione diretta con il consumatore che deve riuscire a provare tutte quelle emozioni positive che lo fidelizzano pur rimanendo davanti al proprio pc.

Eliminare il limite della distanza fisica con un’apertura diversificata dei punti di contatto con il brand attraverso i dispositivi mobili.

Customer experience

La Customer Experience o CX è l’esperienza complessiva che i clienti vivono durante tutta la loro relazione con il brand. Le aziende dovranno, con i loro piani marketing, acquisire e consolidare la fiducia del consumatore mettendo in atto tutte le strategie necessarie per costruire nuovi modelli di profilazione e nuove soluzioni per creare sempre maggior empatia e senso di appartenenza con esso. 

Come migliorare la customer experience?

Investire sulla customer experience diventa fondamentale per aiutare a comprendere meglio i bisogni e le abitudini e arrivare a costruire un’esperienza unica per il singolo cliente unendo in futuro sia il canale digitale che il contatto diretto. L’e-commerce è antecedente al lockdown come modalità di acquisto ma la chiusura forzata ha portato ad un approccio differente da parte del consumatore che deve esser tenuto in forte considerazione per le strategie future.

Cosa vuol dire entrare nella comfort zone del cliente?

L’accento in ogni piano marketing degli anni a venire dovrà essere necessariamente posto sulla dimensione umana dell’individuo, sulle sue paure, sui suoi desideri e necessità calibrando continuamente interventi e azioni. Solo ricostruendo la fiducia del consumatore si potrà ottenere una fidelizzazione che abbia radici solide nel tempo.

E il piano su cui giocare questa sfida sarà la casa di ogni singolo acquirente, sarà entrare in quella confort zone che ognuno di noi è stato costretto a crearsi in un momento così difficile.

comfort zone

Strumenti della trasformazione digitale

La necessità è diventata quella di fornire attraverso touch point esperienze uniche e coinvolgenti e sempre più interattive.

Vi sono alcuni strumenti e tendenze ultimamente utilizzate dalle case di moda che stanno portando verso una trasformazione digitale importante e irreversibile, vediamone alcuni insieme.

1. Virtual Showroom

Il virtual showroom, ovvero la presentazione delle collezioni interamente virtuale, permette a buyer e partner di consultare e visualizzare foto, schede tecniche del prodotto, immagini interattive in un ambiente riservato e protetto e ovunque si trovino. Questa forma di tour virtuale è utilizzata anche dai clienti che hanno la possibilità di visitare, grazie anche alla realtà aumentata, non spostandosi dalla propria sedia i più lussuosi negozi di moda del mondo. Metodologia fortemente voluta da Prada, Valentino, Dolce&Gabbana e Ralph Lauren. Proprio quest’ultimo, per esempio, ha creato un negozio virtuale che consente di visitare 4 dei più importanti negozi del brand: New York, Parigi, Hong Kong e Beverly Hills a portata di un semplice click.

2. Gaming

Il sempre maggiore impiego di giochi al fine di attirare i consumatori sta diventando uno strumento importante di marketing su cui molte aziende stanno puntando. Il fenomeno cosiddetto della “gamification” ha attirato numerose start up di settore creando un notevole interesse. Ad esempio una piattaforma presentata dal marchio Sunnei ha come protagonisti 10 avatar del brand vestiti con abiti della nuova collezione. Il gioco non ha uno scopo preciso e permette l’utilizzo anche da cellulare. Si è dimostrato un divertente modo per coinvolgere la community globale del brand cosa che la passerella non riuscirebbe a fare. Altri importanti brand di moda hanno annunciato il lancio di una game-app interattiva che permette agli utenti di creare un avatar personalizzato e fare sfide fashion con gli altri utenti.

3. Sfilate online

Le sfilate online saranno sempre più pensate non solo come una necessaria alternativa ma anche come una normale prosecuzione delle sfilate in presenza. Inoltre, attingendo alle potenzialità della realtà aumentata sarà possibile attivare layer informativi e innumerevoli punti di vista per far vivere una esperienza totale anche a distanza. Un esempio importante è stata una delle prime Fashion Week post-pandemia, tenutasi dal 22 al 28 Settembre 2020 a Milano. Hanno partecipato i più quotati stilisti del mondo insieme a giovani emergenti con sfilate live e digitali. Stesso schema seguito anche dagli eventi come il Fuorisalone. Sfilate a porte chiuse e diretta televisiva per Armani, emotivamente colpito dalla pandemia, e un graditissimo rientro in patria di Valentino ne sono uno degli esempi più eclatanti.

4. Camerini prova virtuali

Si è parlato molto di questo argomento nella 4° edizione del Summit e-P (il più importante appuntamento italiano sull’innovazione digitale nel campo della moda) organizzato da Pitti Immagine e svoltosi in streaming il 21 Ottobre 2020. Il camerino di prova virtuale prevede la creazione di un avatar che possa indossare gli abiti al posto proprio sperimentando abbinamenti, colori, modelli e tessuti. Questa idea innovativa era stata, ad esempio, proposta da Gap e dalla sua DressingRoom. La multinazionale dell’abbigliamento aveva presentato nel 2017 un’app per la prova degli abiti in realtà aumentata. Anche in questo caso viene creato un proprio avatar e successivamente è possibile iniziare la prova degli abiti in ambientazioni sempre più curate e personalizzabili. 

5. Personal shopper digitali

Il personal shopper digitale è uno specialista di moda in carne e ossa che offre consigli in streaming e può mostrare al cliente i look indossati, indicazione sui prezzi e suggerimenti sulle occasioni d’uso. Un’attenzione particolare e diretta al singolo consumatore e alle proprie esigenze che permette di dare quella sicurezza nell’acquisto che la distanza può naturalmente togliere. Un esempio di questo nuovo modo di fare acquisti lo possiamo ritrovare nelle scelte attuate dal gruppo Miroglio, per i punti vendita Motivi ed Elena Mirò. Il brand, infatti, ha scelto di sfruttare il servizio Go Instore, grazie al quale le clienti possono collegarsi direttamente al sito e farsi consigliare dalle addette vendita proprio come se fossero in negozio.

Il caso Burberry

Il brand Burberry è stato uno dei primi a cogliere l’occasione della multicanalità delle strategie con scelte intraprese per meglio posizionarsi a livello social e di interrelazione digitale.

azienda 100% digitale

Nel 2006 Angela Ahrendts e Christopher Bailey, CEO e Chief Creative Officer del marchio, hanno dichiarato la loro volontà di trasformare Burberry nella prima azienda di moda “100% digitale”. Attraverso le grandi campagne di content marketing, dal 2006 ad oggi, la casa di moda inglese ha contribuito a trasformare il brand in una macchina generatrice di contenuti di successo.

La realtà aumentata per esperienze sempre più personali

Oggi, con l’ulteriore strumento della Realtà Aumentata, primo brand ad averla usata nel campo della moda, l’azienda sta cercando di dare un impulso propulsivo alla commercializzazione utilizzando la tecnologia per creare un’esperienza di acquisto sempre più emozionante e cucita intorno al cliente. È stata utilizzata la piattaforma Google per rendere possibile ai consumatori di interagire nel modo più semplice creando i propri abbinamenti dopo averli ponderati in associazioni personalizzate (ad esempio può essere posizionata una borsa vicino ad un abito in realtà aumentata nell’ambiente che ci circonda per avere una migliore idea dell’accostamento e del prodotto che stiamo per acquistare).

Gaming Technology

Altro strumento digitale fortemente voluto da Burberry e utilizzato è quello della Gaming Technology attraverso una stretta collaborazione con l’azienda Koffeecup. Insieme sono arrivati allo sviluppo di un software che ha rivoluzionato lo scenario del fashion design. 

Tutto questo ha reso sempre più veloce e semplice il posizionamento delle stampe sui tessuti riducendo il consumo di carta nella fase di progettazione dei campionari. Quindi meno sprechi di fabbrica e un’azienda che si pone agli occhi del cliente come virtuosa e attenta alla sostenibilità per recuperare fiducia e affidabilità.

L’importanza dell’esperienza del marchio

Angela Ahrendts ha dimostrato in questi anni una visione lungimirante volta a creare una vera e propria “impresa- social”, dove impiegati, clienti e fornitori condividono la stessa esperienza del marchio, sia attraverso negozi che piattaforme social. Una forma ancora più moderna di community ove l’interscambio fra azienda e utenti possa definirsi totale. Attraverso un insieme di applicazioni (sviluppate grazie a Salesforse.com) si permette a impiegati di vari reparti e ai clienti di reinventare la loro interazione come brand community. Utilizzando un programma chiamato Chatter, i dipendenti hanno accesso ai dati sulle visite virtuali, alle attività dei visitatori, possono commentare in tempo reale tweet o interventi sul blog. Ognuno può aprire il proprio “portale-Burberry” e iniziare ad interagire sui più svariati argomenti.

Co-creazione di un’azienda

L’azienda, d’altro canto, può sfruttare questi canali per fissare appuntamenti nei punti vendita per i più disparati motivi (dalla prova per acquisto alla sostituzione o riparazione di capi). I dipendenti si sentono perfettamente integrati a tutti i livelli dell’azienda e gli utenti possono sfruttare tutte le risorse tecnologiche messe in campo da Burberry per diventare parte integrante del brand: sfilate, suggerimenti su linee future, chat e acquisto di capi.

La vera rivoluzione sta quindi nella co-creazione umana: impiegati e clienti che lavorano insieme alla riuscita di un brand di successo.

Conclusioni

In questo periodo la strategia migliore per le aziende potrebbe essere quella intrapresa da Burberry, unire sapientemente il proprio passato con un futuro che si prospetta sempre più tecnologico e avveniristico.

Per fare questo si dovrà affrontare un presente sicuramente difficile ed incerto sfruttando i bisogni e le conoscenze in nostro possesso e lanciandosi in una sfida che va ad unire online e offline, tenendo sempre al centro di ogni scelta il consumatore finale.

Fonti

L'articolo sopra riportato è la rielaborazione di un'analisi e riflessione realizzata da me in data 17/02/2021. 

Bibliografia ulteriore: "#community manager dietro le reti ci sono le persone" di Osvaldo Danzi e Giovanni Re

Come scrivere una newsletter efficiente e accattivante?

Newsletter: tra strategia e creatività

Le newsletter sono degli strumenti validi ed efficaci per farsi conoscere, ma dobbiamo comprenderne il corretto utilizzo per non farle diventare “spam” inutili.

In questo articolo capiremo insieme come creare newsletter dinamiche e accattivanti: buona lettura!

Quando possiamo chiamare un’email newsletter?

Un’email acquisisce il significato di newsletter nel momento in cui viene inviata periodicamente a tutti gli utenti che hanno lasciato il proprio indirizzo. Essa deve catturare in brevissimo tempo l’attenzione, per non venire cestinata o dimenticata.

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Ecco 4 step per rendere una semplice email un oggetto di marketing per la tua azienda.

1. La profilazione del cliente

Tutto parte dalla profilazione dei propri clienti, ovvero dalla creazione di una banca dati ben strutturata con tutti i contatti di cui siamo in possesso. Usualmente siamo in grado di avere questi dati perché i clienti compilano, per esempio, un form sul sito aziendale. Per incentivare gli utenti a lasciare la propria email possiamo utilizzare alcune strategie, come promozioni o regali.

2. La struttura del testo

Al giorno d’oggi possiamo trovare veri e propri software di scrittura che renderanno sicuramente più semplice costruire newsletter professionali e veloci.

Allo stesso tempo una scrittura più creativa, magari grazie all’aiuto di un copywriter, può decisamente svoltare la nostra intera campagna.

I software sopra citati sono molto utili ma non tengono conto, ossia di alcune ricerche preliminari che un professionista potrebbe fare, oppure di tutta la parte creativa necessaria a differenziarsi dagli altri.

In conclusione, se tutti usassimo questi programmi avremmo newsletter molto simili fra loro e nessuna spiccherebbe rispetto alle altre.

Andiamo ora a vedere alcuni elementi testuali che caratterizzato l’esito finale di una newsletter:

  1. L’OGGETTO: sì esatto, proprio quel corpo di testo che ci viene sempre ricordato di inserire prima di inviare un’email. Può sembrarci inutile, di poca importanza, ma invece è proprio con quelle poche parole che ci giochiamo tutta la partita. Sbagliare la compilazione di questo campo potrebbe, infatti, vanificare l’intero progetto. È con l’oggetto della nostra e-mail che attiriamo o meno l’attenzione del nostro target. Questa breve frase deve essere chiara, semplice e attraente. Deve incuriosire il lettore, portandolo a voler approfondire gli argomenti, e non deve contenere parole o espressioni riconducibili a possibili spam (gratis, regalo, ordina subito, chiama gratis etc.). Secondo alcuni studi le parole contenute dovrebbero essere fra le 6 e le 10, e preferibilmente non essere scritte tutte in maiuscolo, in quanto sembreremmo fortemente arrabbiati.
  2. IL CORPO DI TESTO: per scrivere al meglio questa parte dovremo far attenzione ad alcuni aspetti. Quale è il nostro target? Cosa voglio comunicare? Qual è il nostro obiettivo, o i nostri obiettivi? Una volta fatte le giuste considerazioni diventa necessario scrivere con uno stile chiaro e coerente al nostro tone of voice, non essere banali ma fornire solamente informazioni utili e mirate alle esigenze del nostro cliente, sempre in maniera creativa.
  3. No, non è un altro elemento, ma ci tenevamo a fare un piccolo focus su questo punto. Con “parte creativa”, “creatività” o espressioni simili non vogliamo dire che dobbiamo inserire le nostre parole come se stessimo trascrivendo un quadro di Picasso. Scrivere in maniera creativa vuole dire riuscire a scrivere in modo non asettico, partendo da un’idea, seguendo uno stile e mostrando empatia con il target
  4. IL NOME DEL CLIENTE: riportare il nome del cliente all’interno dell’email è una strategia interessante, questo piccolo elemento è necessario per creare un legame più stretto con il nostro interlocutore, simulando un dialogo diretto. 
  5. IL GRASSETTO: l’utilizzo del grassetto può far emergere, evidenziandole, le parole più importanti del testo. Quelle parole che rimarranno più impresse al lettore, in quanto gli cattureranno più velocemente l’attenzione.  
  6. LA SUDDIVISIONE DEL TESTO: in ultimo punto, ma non per importanza, abbiamo la suddivisione del testo. Scandire il proprio messaggio con titolo, sottotitolo, corpo di testo e call to action è fondamentale per una buona fruizione del concetto. 

3. L’invio delle newsletter

Visto il possesso di una buona banca dati, e dopo aver creato un testo calzante con i nostri obiettivi, dobbiamo inoltrare la nostra newsletter in maniera corretta. 

Esistono per questo molteplici software di inoltro dei contenuti, strumenti utili a semplificarci queste operazioni. Creati appositamente per l’inoltro massivo di newsletter e scaricabili da internet, scegliendo quello più adatto alle proprie esigenze.

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4. L’analisi successiva

Dopo l’invio delle newsletter è importante svolgere un lavoro di analisi dei dati in possesso, per vedere quali risultati ha portato il nostro lavoro.

Alcuni parametri che possono essere valutati sono: il numero degli iscritti alla newsletter, il numero dei click ottenuti e il numero delle email aperte.

Per rendere veramente vincente l’invio periodico di newsletter dobbiamo aver ben chiari gli obiettivi da raggiungere. Normalmente si dividono in due aree di attenzione: la prima rivolta al risultato del proprio business e l’altra al messaggio o informazioni che si vogliono dare al cliente (raccogliere adesioni, divulgare notizie, scaricare contenuti etc.). 

Bene, adesso che sappiamo come gestire una newsletter in modo funzionale, analizziamo un case study!

Il boom dell’Estetista Cinica 🧠

Un esempio che rappresenta perfettamente la somma di tutti i suggerimenti sopra esposti, e che aggiunge anche innovazione e particolarità creativa, è quello dell’imprenditrice italiana Cristina Fogazzi (in arte “l’Estetista Cinica”). Vediamo grazie a lei come scrivere una newsletter efficace e accattivante!

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Cristina Fogazzi

I successi ottenuti la pongono come caso non solo di studio per quanto riguarda il rapporto fra newsletter e marketing, ma anche come metodo da seguire per ottenere un risultato positivo. 

Partendo da ciò che abbiamo affrontato precedentemente, uno dei punti fondamentali per ottenere un riscontro positivo è la corretta formulazione dell’oggetto

La vita della nostra email: letta o spam? 📨

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Esempio di oggetto dell'email - Estetista Cinica

L’esempio riportato sopra è un estratto di una delle newsletter di Cristina Fogazzi, come possiamo vedere abbiamo un unico concetto, un testo suddiviso in due parti e una grande creatività che attira l’attenzione.

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Esempio di una parte di testo dell'email - Estetista Cinica

Così come possiamo leggere dall’estratto di questa e-mail, i testi sono sempre molto coinvolgenti, riportano fatti accaduti personalmente ma che potrebbero riguardare tutti. Espressi sempre in modo simpatico e diretto. 

Il messaggio è professionale e soprattutto utile a chi legge ma reso comunque accattivante.

Dal servizio offerto ai prodotti scontati, tutto viene sempre calcolato in ogni minimo dettaglio: prodotti legati alla stagione in cui è mandata l’e-mail per risolvere problemi contingenti, frasi dirette a creare l’urgenza, la possibile scarsità del prodotto, promozioni a tempo etc. 

Infine, in una email così ben strutturata, non può mancare un footer completo di tutta quella serie di pulsanti utili a risolvere ogni dubbio o necessità di chi sta leggendo. E allora bene a sconti se si completa il proprio profilo, alla possibilità di condivisione sui social, a prodotti per i fan più accaniti, consigli utili e Faq in caso di dubbi. 

Ma il suo obiettivo? 🔍

Quello di fidelizzare il cliente facendolo sentire importante e al sicuro, parte di un gruppo e soprattutto fiero di appartenervi.

Perché non dimentichiamo mai che la pubblicità più importante rimane sempre il passaparola di chi è contento del prodotto/servizio.

Conclusioni: qual è allora il segreto per cogliere sempre nel segno? 🖊

Creare sempre contenuti di valore da inviare ai propri contatti per creare un legame costante ma di livello qualitativamente buono.

Cercare di anticipare i bisogni dei clienti, essere di aiuto su problematiche reali o potenziali, rassicurare sulla nostra presenza o sui nostri prodotti. 

La nostra newsletter, in ogni sua parte, deve essere confezionata sull’azienda e per il target come un abito sartoriale.

La Teoria della Coda Lunga: ovvero la formula del successo nell’era digitale

Come si costruisce un buon progetto nell’era digitale? Come si fa a rendere redditizio un piccolo business sfruttando i contenuti? Cosa vuol dire puntare sul lungo periodo?

Per rispondere a queste domande entra in gioco proprio lei: la Teoria della Coda Lunga.

Ai tempi dei nostri nonni c’era un vecchio proverbio che recitava più o meno così: “chi semina, raccoglie”. Se si semina bene un campo, allora si otterrà un buon raccolto. I frutti del proprio lavoro si vedono appunto sul lungo termine. Questa è la prima chiave di lettura della Teoria della Coda Lunga.

Anche nell’era digitale ci sono dei campi da seminare e dei frutti da raccogliere. La dinamica è certamente più complessa, ma il concetto alla base è sempre lo stesso: più si semina e più si ha la probabilità di raccogliere qualcosa di buono. Ovviamente, è necessario che i semi siano di qualità e che il terreno sia costantemente innaffiato con cura.

Partiamo quindi da questo vecchio proverbio per iniziare a comprendere il potenziale della celebre teoria di cui parleremo in questo articolo.

Cos'è la Teoria della Coda Lunga?

Chris Anderson

La teoria della coda lunga (The long tail) è stata elaborata da Chris Anderson nel 2004. La sua prima formulazione compare all’interno dell’omonimo articolo pubblicato sul magazine Wired, rivista in cui Anderson è stato caporedattore dal 2001 al 2012.

Si tratta della teoria che sta alla base del successo dei grandi player digitali, come Amazon, Netflix e Google. Il loro business model è infatti basato proprio sulla cosiddetta long tail (la coda lunga).

Nell’era digitale, una buona strategia di comunicazione, di marketing e di vendita non si rivolge più alla massa indistinta; si tratta invece di guardare alle nicchie di pubblico, la cui somma è uguale o addirittura maggiore rispetto al pubblico di massa.

In passato, gli spazi in cui conservare ed esporre prodotti e contenuti erano limitati: prendete come riferimento gli scaffali delle librerie e il palinsesto dei canali televisivi. Se lo spazio è finito, il modo migliore per catturare l’attenzione del destinatario e massimizzare le vendite è quello di offrire i contenuti più gettonati, quelli più popolari, le hit del momento, i grandi successi.

Con l’avvento di Internet e della sfera pubblica digitale il paradigma è completamente cambiato. Siamo passati in breve tempo da strumenti di massa per le masse a strumenti personalizzabili per le nicchie.

I vecchi mezzi di comunicazione di massa, generalisti per natura, hanno perso gradualmente la loro efficacia in favore di nuovi strumenti di distribuzione di contenuti e di vendita di prodotti e servizi.

In poche parole, se in passato il successo commerciale era dato esclusivamente dai cosiddetti best seller, con l’avvento del digital hanno iniziato a essere profittevoli anche i prodotti meno conosciuti e meno venduti.

Vediamo adesso nel dettaglio cosa significa tutto questo e le conseguenze che ha avuto sull’economia digitale e non solo.

Davide contro Golia, ovvero la rivincita dei contenuti di nicchia sullo strapotere della massa

La teoria della coda lunga - Il Grafico

Come si vede dal grafico in foto, il numero di vendite (unitarie) per un singolo prodotto di nicchia è nettamente inferiore al numero di vendite (unitarie) per un singolo prodotto di massa. Fin qui nessuna novità.

Ma ecco che entra in gioco la grande rivoluzione. Il cambio di paradigma sta appunto nel seguente assunto: se i prodotti di massa (le hit, i best seller) sono limitati per quantità, i prodotti di nicchia tendono all’infinito.

In poche parole, le hit del mercato sono poche, mentre la restante parte del mercato è composta da una quantità di prodotti potenzialmente infiniti. Di conseguenza, la somma delle vendite di tutti i prodotti di nicchia è uguale, o addirittura superiore, alla somma delle vendite dei prodotti di massa.

n. Prodotti di Massa (hit, best seller)
0%
n. Prodotti di Nicchia
0%

Infatti, gli aggregatori di contenuti e le librerie digitali ottengono un cospicuo guadagno vendendo contenuti di nicchia, evitando di concentrarsi esclusivamente sui successi commerciali. 

La strategia più comune è quella del cross-sell, messa in atto attraverso gli algoritmi di recommendation: se ti piace questo prodotto, ti consiglio di provare anche quest’altro che è molto simile al primo e che forse non conosci. 

Sarà capitato sicuramente a tutti di andare su un ecommerce per acquistare un prodotto e poi aggiungere al carrello un prodotto correlato. O ancora di andare su una piattaforma digitale per vedere un contenuto audiovisivo e poi fare binge watching guardando altri contenuti sulla base di quelli consigliati dalla piattaforma stessa. Youtube, Netflix, Spotify e tanti altri ancora utilizzano proprio questo sistema.

La teoria della coda lunga su Amazon
Scheda di prodotto su Amazon del libro La coda lunga
L'algoritmo di Amazon "spesso comprati insieme"
Ecco come funziona l'algoritmo di Amazon che ti consiglia un prodotto correlato: quando acquisti un prodotto su Amazon ti vengono consigliati altri prodotti simili da aggiungere al carrello. È la più comune strategia di cross-sell.

La teoria della coda lunga applicata alle vendite

Facciamo adesso un breve esempio per spiegare la Teoria della Coda Lunga.

5 prodotti best seller vendono in media 100 copie unitarie al prezzo di € 10 a copia. Il totale ricavato sarà pari a:

  • 5*100*10 = € 5.000

95 prodotti best seller vendono in media 10 copie unitarie al prezzo di € 15 a copia (un prodotto di nicchia, per ragioni di economia di scala, avrà quasi certamente un prezzo maggiore rispetto a un best seller). Il totale ricavato sarà quindi pari a:

  • 95*10*15 = € 14.250

Anche volendo ipotizzare un identico prezzo unitario, il ricavo generato dalla somma dei prodotti di nicchia sarebbe comunque superiore a quello generato dalla somma dei best seller:

  • 95*10*10 = € 9.500

Ovviamente qui siamo pur sempre nella dimensione teorica e i dati utilizzati per l’esempio non hanno alcuna origine empirica. Si potrebbe obiettare che 10 unità per prodotto di nicchia sono eccessive. Anche dimezzando la quantità di unità vendute il concetto rimane comunque valido e saldo. Ed è bene ricordare che grazie alle strategie di cross-sell i prodotti di nicchia aumentano esponenzialmente il numero di unità vendute, dato che che spesso sono abbinati alla vendita dei prodotti best-seller.

Ricavo dai Prodotti di Massa
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Ricavo dai Prodotti di Nicchia (prezzo con economia di scala)
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Le ragioni di un cambio di paradigma

Sono essenzialmente quattro le novità che hanno permesso questi grandi cambiamenti: 

  1. la diffusione della banda larga;
  2. lo spazio potenzialmente illimitato sugli “scaffali virtuali”;
  3. la riduzione dei costi di stoccaggio (praticamente tendenti a zero nel caso di prodotti e servizi digitali);
  4. la possibilità di aggregare in un’unica piattaforma le disponibilità di differenti magazzini sparsi per il globo.

Questo ha inoltre permesso ai player digitali di rendere accessibili contenuti dimenticati e infondere loro nuova linfa vitale grazie al meccanismo delle recommendation citato poco sopra: se acquisti un certo prodotto, l’algoritmo ti consiglia un prodotto simile. Magari un prodotto limitato. Magari un vecchio libro che in passato non aveva riscosso successo e che grazie alle recommendation può tornare ad avere nuova linfa vitale e diventare a sua volta un best seller a posteriori.

Ed è esattamente quello che è accaduto con il libro Touching the Void (1988) di Joe Simpson. Nell’anno di uscita il testo riscosse un moderato successo, ma non al punto da renderlo un best seller. Circa dieci anni più tardi, con l’uscita del libro Into Thin Air (1997) di Jon Krakauer, l’algoritmo di Amazon rese popolare anche il libro di Joe Simpson, proprio grazie al meccanismo delle recommendation. Questo esempio è riportato anche nell’articolo originale di Chris Anderson sulla long tail.

Quanto detto fino a questo momento si unisce alla logica anything, anytime e anywhere: ovvero qualsiasi contenuto o prodotto, in qualsiasi momento e in ogni luogo.

Chris Anderson riassume la sua teoria con le seguenti parole, da tenere bene a mente per capire con che logica si affrontano le sfide nell’era digitale:

«Dimentica di spremere milioni da poche hit in cima alle classifiche. Il futuro dell’intrattenimento è nei milioni di mercati di nicchia nella parte bassa della classifica delle hit»

Chris Anderson: Identifying “The Long Tail”

La Long Tail applicata alla SEO: come essere primi su Google (o forse no)

A distanza di molti anni, questa teoria continua a essere il cardine di ogni strategia digitale (e non solo). Gli sforzi di qualsiasi progetto si vedono sul lungo termine, grazie all’accumulazione di contenuti che piano piano intercettano sempre più utenti. Contenuti che continuano a mantenere una propria vita grazie all’indicizzazione e al posizionamento sui motori di ricerca, a patto che vengano rispettate le buone pratiche di Search Engine Optimization (SEO)

Lavorare bene sui propri contenuti significa contribuire ad allungare la propria coda lunga. E quanto lunga deve essere questa coda nessuno può dirlo: dipende dagli obiettivi che si intendono raggiungere e quanto lontano si vuole andare.

In una strategia di posizionamento sui motori di ricerca, la teoria della coda lunga è senza alcun dubbio un alleato importante. Ogni brand e impresa vorrebbe posizionarsi sulle keyword principali del proprio settore e/o sfruttare la paid search sulle parole chiave più cercate. Questo però comporta due problemi:

  1. Alta concorrenza e quindi alta competizione, ovvero si corre il rischio di essere un pesce in mezzo al mare. E nel caso di competitor particolarmente grandi, un pesce in mezzo agli squali;
  2. Maggior costo delle keyword nella paid search: maggiori sono gli inserzionisti che partecipano alle aste e maggiore è il costo delle inserzioni (per la legge della domanda e dell’offerta).

Per ovviare a questi problemi, una buona strategia SEO tende a prediligere le cosiddette long tail keyword, o più semplicemente, le parole chiave a coda lunga.

  • Esempio di parola chiave: ristorante di pesce; ristorante di carne;
  • Esempio di parola chiave a coda lunga: ristorante di pesce in riva al mare; ristorante con carne da allevamenti italiani;

La keyword “ristorante di carne” avrà senza alcun dubbio un maggior volume di ricerche mensili e quindi sarà visualizzata da più persone. Ma avrà anche certamente un maggior numero di competitor e un maggior costo nel caso della pubblicità a pagamento sui motori di ricerca.

Utilizzare le long-tail keyword, se individuate nel modo giusto, permette di abbattere i costi del SEM (Search Engine Marketing) e contribuire alla buona organicità della SEO (Search Engine Optimization).

Per la teoria della coda lunga, la somma delle long-tail keyword potrebbe produrre un volume di ricerca maggiore rispetto a una singola parola chiave più gettonata. Ovviamente alla teoria deve seguire la pratica: ogni settore ha le sue peculiarità e necessita di una strategia cucita su misura.

Conclusioni

I campi di applicazione della Teoria della Coda Lunga e le relative modalità sono senza alcun dubbio molteplici e diverse tra loro. Dalla selezione delle parole chiave alla selezione dei prodotti da esporre nel proprio store virtuale; dalla pubblicità a pagamento passando per la produzione di contenuti per il proprio piano di content marketing.

I concetti alla base, però, sono sempre gli stessi:

  1. Pensare tanto alla nicchia quanto alla massa;
  2. Concentrarsi sul lungo termine, e non esclusivamente sul breve termine;
  3. Avere pazienza, perché ogni strategia che si rispetti richiede calma e sangue freddo.

E giunti alla fine di questo articolo è necessario dire le cose come stanno: ebbene sì, questo contenuto fa proprio parte della personalissima coda lunga di Midable.

Fonti consultate e approfondimenti

Questo articolo è una rielaborazione e un ampliamento di un contenuto pubblicato sulla pagina Instagram di Midable in data 8 agosto 2020.