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Categoria: Storytelling

TikTok, un algoritmo che funziona in politica

La piattaforma cinese sempre più in evoluzione, si sta da poco facendo spazio nel chiacchieratissimo settore dell’attivismo politico.

Nel corso della storia e del tempo, il modo di comunicare è sicuramente cambiato. Allo stesso modo la politica si è evoluta, in cerca di soluzioni innovative per raggiungere un pubblico sempre più ampio.
Vediamo come, al giorno d’oggi, questo argomento è diventato quasi un trend da seguire sul social più ambito del momento.

Il social della libertà di espressione

TikTok ospita una grande e diversificata comunità di attivisti. Sulla piattaforma possiamo incontrare video che parlano di dichiarazioni politiche, teorie della cospirazione, contenuti razzisti e sessisti o addirittura fake news dovute alla disinformazione.

TikTok si è sempre distinto come portavoce di un target omogeneo e internazionale. In particolare dà modo ai giovani di connettersi ad un pubblico vicino usando ricorrenze simboliche collettive, che possono essere fisiche, visive o virtuali (come danze e balletti virali o hashtag in tendenza e citazioni del momento).

La nuova moda di comunicare in politica

TikTok è un social network relativamente nuovo, fresco e giovanile, che attrae fasce di ragazzi di tenera e media età. Nonostante questo, come tutti i canali digitali, all’interno dell’applicazione sono recentemente approdati anche gli adulti, e con loro la politica in vecchio stile.

Ma TikTok è davvero pronto ad affrontare questa diplomatica invasione social dovuta dall’avvento dei boomer?

In realtà TikTok stabilisce l’impossibilità di “fare politica” sulla piattaforma, e la stessa regola viene riproposta per quanto riguarda gli annunci a pagamento:

Niente annunci a favore o contro un politico o un partito. No ad annunci elettorali. Niente annunci che criticano o esaltano provvedimenti di un governo.”

Queste sono le linee guida più rilevanti per il corretto utilizzo della piattaforma, ma è risaputo ormai che la nuova generazione sia interessata più di ogni altra cosa ai diritti, all’ambiente e alla politica.

Il conflitto politico su TikTok è ancora relativamente limitato e, spesse volte, è controproducente. Le discussioni e i confronti su questa piattaforma sfociano molto facilmente e vengono filtrati attraverso le caratteristiche, le singole identità e le esperienze personali dei giovani utenti, considerando il dialogo politico sotto un aspetto molto privato e personale.

Se lo scorso ottobre, dunque, TikTok ha vietato la pubblicità a pagamento che tratta di politica, è proprio su questo social che i movimenti politici più riconosciuti stanno prendendo piede, producendo una quantità intingente di contenuti, commenti ed interazioni. 

Ad esempio, in Italia #greenpass ha raggiunto 53,6 milioni di visualizzazioni e #ddlzan 63,1 milioni, mentre l’hashtag #blacklivesmatter per 27,8 miliardi di visualizzazioni e #georgefloyd ne ha raccolti 5,1 miliardi.

Il razzismo e il caso #BlackLivesMatter

Gli elementi condivisi dai giovani riguardanti la politica, che si concretizzano in canzoni o hashtag, sono aspetti fondamentali nel contesto dell’espressione legata a Black Lives Matter su TikTok. Esiste una grande diversificazione in termini di stile ed espressione, dall’ironia alla rabbia, dalle proteste, dai meme, dai gif alle interviste.

Dal brutale episodio dell’afroamericano George Floyd, risalente al 25 maggio 2020, si è da subito sviluppato un senso di solidarietà e consapevolezza generazionale collegato al concetto di espressione politica libera e condivisa: sui social e nei vari filmati di proteste, si notano diversi commenti come “Adoro la nostra generazione con tutto il cuore” e “La Gen Z sta cambiando il mondo”, il che è davvero interessante perché le “generazioni”, in genere, non si riferiscono a sé stesse come gruppi di appartenenza.

Colpisce soprattutto il forte impatto che semplici e brevi parole come gli hashtag abbiano un forte impatto nelle conversazioni che si generano nel mondo digitale e, in questo caso, come questi vengano utilizzati anche da persone al di fuori degli Stati Uniti per sostenere il movimento BLM. Ad esempio, in Israele le proteste in solidarietà del Black Lives Matter si sono unite alla protesta degli israeliani di origine etiope che subiscono discriminazione razziale da parte della polizia del territorio.

Questo indica come TikTok consenta ai giovani d’oggi di dare voce alle loro battaglie e paure, collegando un messaggio personale ad un momento politico di ampia portata.

TikTok porta visibilità alla guerra

L’invasione russa dell’Ucraina non è la prima guerra dei social media, ma è la prima a svolgersi su TikTok. L’attuale conflitto, alimentato dall’effetto virale della piattaforma, ha creato in modo importante un flusso infinito di filmati che raccontano la guerra come non era mai capitato prima d’ora.

Questi report e video sono letteralmente diventati una salvezza per gli investigatori che attualmente cercano di tracciare i movimenti dell’esercito russo. E in questo periodo storico c’è molto seguito per i video sulla guerra: tra il 20 e il 28 febbraio, le visualizzazioni dei video con l’hashtag #ukraine sono passate da 6,4 a 17,1 miliardi.

Ed è così che la terribile guerra scoppiata in Ucraina è stata nominata come la prima “social media war”, che vede una forte strategia comunicativa del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che non ha mai abbandonato il suo paese, bensì è da subito rimasto per lottare vicino al suo popolo, come un vero e proprio eroe. 

Come ormai sappiamo, il conflitto si sta combattendo anche sul web, perciò sta diventando sempre più difficile distinguere le vere notizie da quelle false.
Resta importante sottolineare che TikTok lotta per impedire il diffondersi di informazioni false e teorie del complotto.
L’applicazione ha recentemente aggiornato una sezione che avverte gli utenti di “verificare i fatti utilizzando fonti affidabili” quando ricercano determinate categorie di argomenti.

Conclusioni

TikTok è sicuramente il social rappresentativo del momento, sempre più noto soprattutto come palcoscenico di propaganda politica.
È necessario capire che una piattaforma che ottiene una forte risonanza e un grande riscontro, funziona se si hanno affinità con il mezzo in questione, se si sanno veicolare i messaggi in modo giusto e intelligente, non se si vuole provare ad essere giovanili a tutti i costi, senza alcun effetto positivo futuro.

Comunicare il patrimonio culturale: l’arte e l’archeologia alla prova della digitalizzazione

Quando senti la parola “archeologia” le prime cose che ti vengono in mente sono Indiana Jones e forzieri nascosti? Sappi che stai sbagliando strada, ma probabilmente non è colpa tua.

Il mondo dei patrimoni culturali, e soprattutto il mondo dell’archeologia, non vanno esattamente di pari passo con le ultime frontiere della comunicazione digitale, dello storytelling e della digitalizzazione.

Ed è solo ultimamente (possiamo dire “grazie” alla pandemia?) che le cose sono cominciate a cambiare. Vediamo in che modo si è iniziato a comunicare il patrimonio culturale.

Il Digital per valorizzare le arti e l'archeologia

In realtà è dal 2014-15 che sul web hanno iniziato a comparire molti blog e account social legati a gruppi di ricerca, siti e musei di ogni tipo. 

Questo evento può essere letto come la risposta al spesso lamentato “gap” tra ricerca accademica, tutela e fruizione da parte del pubblico. 

Ma cosa manca, e in cosa può aiutare il web nella valorizzazione e comunicazione del patrimonio culturale e archeologico

Innanzitutto, potrebbe abbattere tutti quei luoghi comuni che ruotano intorno alla disciplina: avventurieri, cercatori di tesori nascosti e protetti da chissà quali trappole, maneggiatori di sciabole).

Inoltre, potrebbe far riconoscere al pubblico l’importanza della materia, per la quale le competenze sono molteplici. 

Infine, potrebbe essere un generoso aiuto per la promozione e la valorizzazione del nostro territorio.

Tuttavia, fino al giorno d’oggi, l’errore più comunemente commesso è stato quello di spettacolarizzare il lavoro finito, cioè il reperto o il sito archeologico stesso, senza mostrare né processi e metodi di ricerca, né ricostruzioni e interpretazioni. 

In poche parole, il pubblico rimane all’oscuro di un avvincente backstage.

Qual è il giusto marketing per il patrimonio culturale?

Cosa serve, dunque per comunicare il patrimonio culturale?

Sicuramente un approccio mediato tra tecnologie, linguaggi e creatività sarebbe un beneficio. In questo modo si farebbe avvicinare la conoscenza agli attuali mezzi di comunicazione, evitando una decontestualizzazione e una favolizzazione del patrimonio culturale. 

Il tutto dev’essere corretto, ma allo stesso tempo accattivante, così da attrarre e incuriosire il visitatore sia online che sul luogo.

La promozione dev’essere dal basso, vicina al pubblico, e tramite i blog e i social si ha l’occasione di raggiungere velocemente un enorme numero di persone. Il linguaggio e le strategie da adottare sono da adeguare al target di pubblico prescelto.

La spinta della pandemia

Ebbene sì, tutta la situazione dovuta al Covid-19 è stato un enorme incentivo per muovere passi in questa direzione; ha spinto musei di ogni tipo a considerare effettivamente il loro ruolo nella società, la loro poca presenza digitale e la loro comunicazione spesso inefficiente. 

L’importanza di comunicare il patrimonio culturale è stata ribadita anche dallo stesso Ministro della Cultura Dario Franceschini in un’intervista per la rivista Finestre sull’Arte nel 2020:

«Si sta andando verso una rapida evoluzione della comunicazione delle istituzioni culturali, si sta entrando nella maturità dei musei 4.0 nella quale il digitale avrà sempre di più un ruolo preponderante. Che non andrà a sostituire la frequentazione dei musei, ma la renderà più piacevole, istruttiva ed agevole».

Dario Franceschini

 

Era dagli anni della Seconda Guerra Mondiale che i musei non chiudevano al pubblico. 

Il 13 marzo 2020 il ministero dei beni culturali ha esortato ufficialmente tutti gli enti del patrimonio culturale a eseguire una digitalizzazione dei loro contenuti, consentendo l’afflusso di un pubblico più numeroso, assente a causa delle restrizioni sanitarie. 

Una volta dettate le linee guida generali, molti musei hanno iniziato a mettere a disposizione un catalogo digitale dei contenuti, consultabile direttamente online.

Negli ultimi anni sono poi proliferate altre e varie iniziative digitali, un cambiamento obbligatorio che ha permesso al settore di abbandonare la propria autorevolezza e lanciarsi nel mondo dei social. 

I nuovi ambienti digitali richiedono un linguaggio giovane e accattivante, che certo non esclude la presenza di progettualità e professionisti per poter comunicare il patrimonio culturale in maniera efficace.

Il mercato dei tour virtuali

In un mondo ora più che mai digitalizzato, le istituzioni museali e i siti archeologici hanno dovuto escogitare – e sono tutt’ora in fase di scoperta – metodi per rendere i loro contenuti fruibili dal pubblico online. 

Sicuramente i più gettonati sono i tour virtuali, che rendono più immersiva e attiva la visita, pur non sostituendo l’esperienza fisica.  

Museo dell’Ara Pacis, Roma

Un esempio è la visita online del monumento dell’Ara Pacis, a Roma.

Il visitatore digitale può muoversi all’interno dell’Ara semplicemente usando il mouse, ottenendo approfondimenti su di essa e sulle sue raffigurazioni cliccando su specifici punti dati dal sito.

Museo dell’Ara Pacis di Roma
Museo dell’Ara Pacis di Roma

Museo Archeologico Nazionale di Taranto (MArTA)

In questo caso la fruizione del servizio è gratuita, ma altri musei, come il Museo Archeologico Nazionale di Taranto (MArTA), offrono invece tour virtuali in cambio di una donazione pecuniaria.

Tutte queste iniziative hanno contribuito alla creazione di un vero e proprio mercato virtuale di tour guidati, sia dai siti stessi che con la partecipazione di guide certificate che interagiscono e spiegano al visitatore a casa direttamente dal luogo della vista. 

E non finisce qui.

Queste novità finalmente introdotte nel mondo dei musei e dell’archeologia hanno fatto sì che queste non fossero più realtà passive, chiuse e dalle nozioni altisonanti. Hanno permesso di sviluppare una relazione molti a molti: specialisti e studiosi che aprono le loro competenze alla totalità e al linguaggio del pubblico. 

Nel campo dell’archeologia, invece, sono nati molteplici blog e visite virtuali mirati a raccontare le giornate di scavo, coinvolgendo finalmente un pubblico ignaro di cosa si celasse dietro al reperto esposto nella teca di un museo.

Questo aspetto di coinvolgimento del pubblico al lavoro archeologico non è una novità. Già l’archeologo Mortimer Wheeler (1890-1976) realizzava dei veri e propri “open day” sul luogo dello scavo, permettendo a tutti di partecipare osservando il lavoro. 

Il maggiore coinvolgimento del pubblico porta beneficio anche ai musei stessi, principalmente per due motivi:

  1. permette di attrarre più visitatori e ad aumentare il loro interesse;
  2. consente la raccolta dei loro feedback, che siano diretti o tramite commenti sui social, permettendo così ai curatori di individuare punti deboli su cui effettuare migliorie. 

Galleria degli Uffizi, Firenze

La Galleria degli Uffizi di Firenze è uno dei musei più famosi al mondo, con una pagina Instagram che conta 665k follower.

Nonostante un’ottima presenza digitale – su Instagram è tra i musei più seguiti al mondo, contando oggi ben 678mila follower -, durante il 2020 il museo si è lanciato nella creazione di un profilo su TikTok, la piattaforma più in voga tra i giovanissimi.

Una bella ambizione: il linguaggio e il target di questa piattaforma non sono tra i più facili da progettare e da coinvolgere, ma in fondo è proprio questa la sfida di ogni piattaforma social. 

Inoltre, la visita del museo da parte di Chiara Ferragni è stata il fattore scatenante di un successivo boom di visite, grazie ovviamente alla fortissima presenza social della influencer.

Chiara Ferragni agli Uffizi davanti alla Nascita di Venere di Sandro Botticelli
Chiara Ferragni agli Uffizi davanti alla Nascita di Venere di Sandro Botticelli https://www.instagram.com/p/CCu_l3JIvFn

Per molti questa situazione ha rappresentato un elemento negativo, in quanto le persone sono state spinte alla visita degli Uffizi solamente dalla presenza di Chiara, ma questo aspetto è solo la facciata.

Attraverso un solo post, poi rilanciato dall’account Instagram della Galleria degli Uffizi, Chiara Ferragni ha comunque messo in circolazione un’idea che si è diffusa tra i suoi milioni di follower giovani e adulti, italiani o stranieri.

Che la visita sia spontanea o che sia “spinta” dai social porta comunque a quella condivisione digitale che oggi rappresenta il fattore cardine per le entità museali.

E poi chissà, magari anche quella persona che all’inizio non pensava minimamente di visitare un museo, potrebbe ritrovarsi invece in mondo appassionante, in un’esperienza da voler replicare.

Villa romana di Oplontis, Torre Annunziata

Un case study interessante per la virtualizzazione ben riuscita di un sito archeologico è sicuramente il DAPO Project, eseguito dagli studenti dei Politecnici di Milano e Torino.

Il sito in questione è la villa romana di Oplontis, a Torre Annunziata, parte del famosissimo sito archeologico di Pompei. Questo progetto fa capire come l’entrata in gioco di tecnologia e design siano un beneficio per rispondere alle esigenze del visitatore moderno. 

Il progetto prevede delle esperienze interattive, sia online che in situ, grazie anche a un’app integrata con contenuti audio per guidare il visitatore all’interno del sito. 

Non solo, alcuni reperti sono stati dotati di sensori che, attivandosi con l’avvicinamento dell’individuo, producono interazioni sonore e visive. Il progetto è addirittura stato affiancato da Google Arts & Culture.

Ma in che modo una passeggiata tra le rovine di una villa è stata resa interattiva?

Tramite l’app è possibile scegliere tra quattro figure diverse, le quali avevano convissuto nella villa fino all’eruzione del Vesuvio, provenienti da diverse categorie sociali (il padrone, l’ospite, lo schiavo e l’artista).

Ognuno di questi personaggi guida il visitatore negli ambienti della villa dove verosimilmente si muoveva, raccontando in prima persona la propria esperienza. Questo metodo di “connessione” attiva tra visitatore e luogo visitato è una novità che dovrebbe essere applicata universalmente. 

La maggiore chiarezza dei contenuti permette ai professionisti del settore di rendere disponibili le loro conoscenze agli individui inesperti in materia. La scelta (anche multipla) dei quattro personaggi permette una libertà assoluta di movimento all’interno del sito, senza percorsi obbligati o audioguide numerate. 

Questa fruizione attiva e “fuori dagli schemi”, stile walkthrough, ha avuto infatti come risultato un maggiore successo e interesse da parte del pubblico.

Gli obiettivi del DAPO Project per comunicare il patrimonio culturale

Sono questi gli obiettivi del DAPO Project: rendere il patrimonio più “smart”, portare l’esperienza di visita dal lineare e passiva a circolare e attiva, trasformare il visitatore da spettatore a protagonista. 

Ma nel sito di Oplontis la tecnologia non si è fermata qui. In collaborazione con la University of Texas at Austin è stato possibile effettuare un recupero digitale di opere andate perdute e addirittura una ricostruzione 3D degli ambienti del sito, all’interno dei quali è possibile spostarsi semplicemente usando il mouse.

Conclusioni

In questo articolo abbiamo parlato di virtualizzazione delle visite museali, coinvolgimento degli influencer nel marketing museale, interattività delle esperienze e modelli 3D dei siti archeologici.

Tutti questi elementi per comunicare il patrimonio culturale, se applicati almeno in parte in ogni ente museale o sito archeologico, aiuterebbero gli stessi a raggiungere l’obiettivo principale per cui sono nati: essere vissuti.  

Fonti consultate

  • A. D’Eredità, A. Falcone, D. Pate, P. Romi (2016), Strategie di divulgazione dell’archeologia online: metodologie, strumenti e obiettivi. Dalla redazione del piano editoriale alla misurazione dei risultati, in  «Archeologia e Calcolatori»,
    n.27, 2016, 331-352
  • Francesca Pontani (2020), Archeologia e Comunicazione Digitale, in ArcheoTime (canale YouTube), registrazione del seminario tenuto il 27 febbraio 2021 presso la Sala Sant'Angelo del Museo delle Necropoli Rupestri di Barbarano Romano (VT), https://www.youtube.com/watch?v=ARVcdpyTMXU
  • John R. Clarke, Enrico Ferraris, Massimo Osanna, Team DAPO modera Gian Luca Grigatti (2021), Archeologia digitale per la valorizzazione del patrimonio culturale, in Politecnico di Torino (Canale YouTube), 15 novembre 2020, https://www.youtube.com/watch?v=YKbDLq_WvFE
  • Sito ufficiale di Pompei con pagina dedicata alla Villa di Oplontis, http://pompeiisites.org/oplontis/

In che modo i colori esprimono la personalità di un brand?

Da sempre siamo stati abituati a fermarci di fronte a una luce rossa perché trasmette urgenza e pericolo, mentre una luce verde promette apparente sicurezza. Vi siete mai chiesti il perché?

Ogni colore viene percepito in maniera innata e trasmette sensazioni collegate a sentimenti o reazioni umane. Il colore si ricorda più facilmente di una parola o una  forma

In questo articolo scopriamo come i colori possono esprimere la personalità di un brand e influenzarne la percezione.

Il fenomeno della persuasione stimola i consumatori all’acquisto

«Immaginiamo per un momento come sarebbe la vita in un mondo senza colore, un mondo in cui potessimo vedere solo in bianco e nero. Ci è quasi difficile immaginarlo, perché è proprio il colore che definisce il nostro mondo.»

Laurie Pressman, Vicepresidente del Pantone Color Institute

Il colore è un elemento identificatore, ci induce a sentire una connessione con l’ambiente, è un mezzo prezioso per esprimere e trasmettere idee.

Ognuno di noi attribuisce ai colori emozioni e sensazioni differenti, ma alcune caratteristiche vengono percepite in modo univoco.

Ad esempio, quando osserviamo un prodotto, tutti noi inconsciamente ci soffermiamo sull’aspetto visivo, che, rispetto al tatto e all’olfatto, ci influenza maggiormente.
Lo stimolo visivo è il primo aspetto sensoriale che ci orienta nella scelta

Per ottenere un rapporto di fiducia e stima reciproca con l’acquirente, un brand ha bisogno di persuaderlo e di attirare la sua attenzione. Come vedremo, il colore aumenta dell’80% il riconoscimento di un marchio: è uno strumento necessario per riuscire a farsi notare.

Vediamo in che modo un colore, attraverso la sua forte risonanza, possa diventare l’essenza stessa del brand.

Blue Tiffany, l’unicità di un colore inconfondibile

Blue Tiffany, questo nome riconduce alla famosa gioielleria Tiffany & Co. di New York.
È il colore dell’amore e delle emozioni, così iconico, elegante, fresco e delicato che non può essere sminuito.

Il colore venne scelto dal fondatore Charles Lewis Tiffany per la copertina del Blue Book, una raccolta annuale di gioielli.

Protetto da copyright, il Blue Tiffany viene prodotto con il numero 1837, che corrisponde all’anno di fondazione di Tiffany.

Unico nel suo genere, è impossibile che si trovi nelle mazzette di pantone, perché è legato in maniera indissolubile alla brand awarness di Tiffany.

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Come avviene la scelta di un colore nei loghi

Il colore è il fattore principale nel design di un logo, biglietto da visita che trasmette l’identità di un’azienda. Vediamo come vengono scelti i colori dalle aziende più popolari e in che modo questi colori esprimono la personalità del brand.

Rosso

Il rosso è un colore vitale, attira immediatamente l'attenzione, stimola impulsività e stuzzica l'appetito. È molto usato dai brand alimentari (Coca-Cola, Netflix, Kellogg’s) ma anche nelle insegne per saldi e promozioni

Giallo

Il giallo è associato all'energia, all'attività mentale e all'azione (Shell, Eni, National Geographic).

Arancione

L'arancione è il colore della creatività e dell'energia mentale, richiama positività ed empatia.  È adatto per risaltare elementi grafici, come pulsanti di call to action o box di offerte.

Verde

Il verde evoca tranquillità, pace, salute e freschezza.  È perfetto per brand biologici e green, ma è molto apprezzato anche da marchi che vogliono ispirare fiducia (Whatsapp, Starbucks e Android).

Blu

Il blu è il colore preferito dal 42% della popolazione mondiale e ispira lealtà, calma, stabilità e pensiero ponderato. Dalle banche alla Polizia di Stato, è indubbiamente la scelta di chi vuole farsi accettare dal pubblico (Facebook, Samsung, LinkedIn).

Viola

Il viola è strettamente legato all’eleganza, al lusso, all’introspezione, ma anche al mistero. Colpisce maggiormente un target femminile, per questo ispira anche sensualità ed eleganza (Milka, Twitch, FedEx).

Marrone

Il marrone evoca calore, artigianalità, comfort e serenità. A seconda dell’intensità può trasmettere un’idea di rustico o di vintage (Ups, Louis Vuitton, M&M’s).

Argento

L’argento è associato al metallo ed esprime resistenza e solidità. Molte case automobilistiche o aziende informatiche prediligono questa tonalità di colore (Audi, Apple, Wikipedia).

Bianco e Nero

Il bianco e il nero spesso sono abbinati insieme per ottenere un’immagine minimalista, raffinata, lussuosa e pura (Puma, Adidas, Nike).

È sempre stata una questione di genere

Quando un brand vuole comunicare qualcosa, deve tenere in considerazione le preferenze e i bisogni del target di riferimento.

In Associazione dei colori, uno studio condotto da Joe Hallock, emerge come in entrambi i sessi il colore preferito sia il blu.

Al contrario il viola risulta uno dei colori meno favoriti dagli uomini, ma che piace molto alle donne.

Il sesso femminile predilige colorazioni più tenue e con tonalità chiare, mentre quello maschile preferisce colori intensi e dalle tonalità più scure.

Infine, esistono differenze anche in base al nome che viene associato ai colori. Se gli uomini accostano facilmente i diversi colori sotto grandi macronomi, le donne utilizzano moltissimi nomi che si discostano per tonalità.

In molti casi, alcuni brand escludono a priori la possibilità di utilizzare varie sfumature di colori, poiché potrebbero risultare “fuori target”: vediamo un esempio.

Secondo Nintendo l’estetica di GameCube risultava “troppo femminile”

Il 18 novembre 2001 uscì Nintendo GameCube in America, due mesi dopo il lancio originale in Giappone. La console non riscosse grande successo, ma l’iconico colore indaco che la caratterizza ha certamente contribuito a far parlare di sé.

Sin dal principio il reparto marketing di Nintendo of America non era affatto soddisfatto del colore della console, e cercò in tutti i modi di cambiare questo aspetto.

«Era un colore molto… femminile. Non sembrava mascolino. Pensavamo che avremmo collezionato delle opinioni negative dalla stampa solo per il colore.»

Color forecasting e la previsione di tendenze

Oggi viviamo di colori, cerchiamo di essere sempre al passo con la moda e i tempi.

Professionisti provenienti da tutto il mondo sfruttano conoscenze collettive per prevedere quali colori saranno in tendenza in un futuro prossimo.

La previsione del colore comprende ricerca e scienza: è un insieme di tecnica e arte.

Esperti del colore collaborano per individuare le tendenze cromatiche future, attraverso la ricerca di sondaggi rivolti al target e test di suddivisione dei prodotti.

Questo è fondamentale per affinare e prevedere le preferenze dei consumatori al momento dell’acquisto di un determinato prodotto o servizio: è una potente strategia che permette ai brand di pianificare in anticipo le mode.

L’ossessione di dover essere sempre in palette

Ti è mai capitato passare le giornate a scrollare Instagram in cerca dell’outfit perfetto? O di riscoprire improvvisamente quel vestito rimasto sepolto nell’armadio per anni?
Ecco, il colore ha un ruolo chiave soprattutto nel settore del fashion.

Non è fondamentale acquistare costantemente nuovi capi per stare al passo con le ultime tendenze cromatiche, come sottolinea Laurie Pressman, vicepresidente del Pantone Color Institute.

«Nel nostro ruolo di risorsa colore non stiamo suggerendo che i consumatori sostituiscano tutto il loro armadio.»

Laurie Pressman

Come spesso accade, i consumatori non dovrebbero sentire un senso di oppressione nei confronti delle continue tendenze provenienti dal settore moda, ma dovrebbero optare e scegliere combinazioni di tessuti e colori che portano felicità e buon umore.

L’industria del fashion potrebbe perciò evitare di proporre nuove palette colore e, di conseguenza, di coltivare un irrefrenabile desiderio di acquisto da parte dei consumatori.

Conclusioni

Già da piccoli sapevamo inconsapevolmente che il colore fosse una parte essenziale della nostra vita. Crescendo abbiamo maturato la consapevolezza emotiva delle componenti cromatiche.

La scelta del colore orienta in modo significativo l’efficacia del design e definisce l’immagine di un marchio.

Per padroneggiare il colore servono conoscenza, esperienza, giudizio e intuizione.

Esistono infinite sfumature capaci di influenzare le nostre scelte quotidiane, ma questo spesso lo diamo per scontato.

Come scrivere una newsletter efficiente e accattivante?

Newsletter: tra strategia e creatività

Le newsletter sono degli strumenti validi ed efficaci per farsi conoscere, ma dobbiamo comprenderne il corretto utilizzo per non farle diventare “spam” inutili.

In questo articolo capiremo insieme come creare newsletter dinamiche e accattivanti: buona lettura!

Quando possiamo chiamare un’email newsletter?

Un’email acquisisce il significato di newsletter nel momento in cui viene inviata periodicamente a tutti gli utenti che hanno lasciato il proprio indirizzo. Essa deve catturare in brevissimo tempo l’attenzione, per non venire cestinata o dimenticata.

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Ecco 4 step per rendere una semplice email un oggetto di marketing per la tua azienda.

1. La profilazione del cliente

Tutto parte dalla profilazione dei propri clienti, ovvero dalla creazione di una banca dati ben strutturata con tutti i contatti di cui siamo in possesso. Usualmente siamo in grado di avere questi dati perché i clienti compilano, per esempio, un form sul sito aziendale. Per incentivare gli utenti a lasciare la propria email possiamo utilizzare alcune strategie, come promozioni o regali.

2. La struttura del testo

Al giorno d’oggi possiamo trovare veri e propri software di scrittura che renderanno sicuramente più semplice costruire newsletter professionali e veloci.

Allo stesso tempo una scrittura più creativa, magari grazie all’aiuto di un copywriter, può decisamente svoltare la nostra intera campagna.

I software sopra citati sono molto utili ma non tengono conto, ossia di alcune ricerche preliminari che un professionista potrebbe fare, oppure di tutta la parte creativa necessaria a differenziarsi dagli altri.

In conclusione, se tutti usassimo questi programmi avremmo newsletter molto simili fra loro e nessuna spiccherebbe rispetto alle altre.

Andiamo ora a vedere alcuni elementi testuali che caratterizzato l’esito finale di una newsletter:

  1. L’OGGETTO: sì esatto, proprio quel corpo di testo che ci viene sempre ricordato di inserire prima di inviare un’email. Può sembrarci inutile, di poca importanza, ma invece è proprio con quelle poche parole che ci giochiamo tutta la partita. Sbagliare la compilazione di questo campo potrebbe, infatti, vanificare l’intero progetto. È con l’oggetto della nostra e-mail che attiriamo o meno l’attenzione del nostro target. Questa breve frase deve essere chiara, semplice e attraente. Deve incuriosire il lettore, portandolo a voler approfondire gli argomenti, e non deve contenere parole o espressioni riconducibili a possibili spam (gratis, regalo, ordina subito, chiama gratis etc.). Secondo alcuni studi le parole contenute dovrebbero essere fra le 6 e le 10, e preferibilmente non essere scritte tutte in maiuscolo, in quanto sembreremmo fortemente arrabbiati.
  2. IL CORPO DI TESTO: per scrivere al meglio questa parte dovremo far attenzione ad alcuni aspetti. Quale è il nostro target? Cosa voglio comunicare? Qual è il nostro obiettivo, o i nostri obiettivi? Una volta fatte le giuste considerazioni diventa necessario scrivere con uno stile chiaro e coerente al nostro tone of voice, non essere banali ma fornire solamente informazioni utili e mirate alle esigenze del nostro cliente, sempre in maniera creativa.
  3. No, non è un altro elemento, ma ci tenevamo a fare un piccolo focus su questo punto. Con “parte creativa”, “creatività” o espressioni simili non vogliamo dire che dobbiamo inserire le nostre parole come se stessimo trascrivendo un quadro di Picasso. Scrivere in maniera creativa vuole dire riuscire a scrivere in modo non asettico, partendo da un’idea, seguendo uno stile e mostrando empatia con il target
  4. IL NOME DEL CLIENTE: riportare il nome del cliente all’interno dell’email è una strategia interessante, questo piccolo elemento è necessario per creare un legame più stretto con il nostro interlocutore, simulando un dialogo diretto. 
  5. IL GRASSETTO: l’utilizzo del grassetto può far emergere, evidenziandole, le parole più importanti del testo. Quelle parole che rimarranno più impresse al lettore, in quanto gli cattureranno più velocemente l’attenzione.  
  6. LA SUDDIVISIONE DEL TESTO: in ultimo punto, ma non per importanza, abbiamo la suddivisione del testo. Scandire il proprio messaggio con titolo, sottotitolo, corpo di testo e call to action è fondamentale per una buona fruizione del concetto. 

3. L’invio delle newsletter

Visto il possesso di una buona banca dati, e dopo aver creato un testo calzante con i nostri obiettivi, dobbiamo inoltrare la nostra newsletter in maniera corretta. 

Esistono per questo molteplici software di inoltro dei contenuti, strumenti utili a semplificarci queste operazioni. Creati appositamente per l’inoltro massivo di newsletter e scaricabili da internet, scegliendo quello più adatto alle proprie esigenze.

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4. L’analisi successiva

Dopo l’invio delle newsletter è importante svolgere un lavoro di analisi dei dati in possesso, per vedere quali risultati ha portato il nostro lavoro.

Alcuni parametri che possono essere valutati sono: il numero degli iscritti alla newsletter, il numero dei click ottenuti e il numero delle email aperte.

Per rendere veramente vincente l’invio periodico di newsletter dobbiamo aver ben chiari gli obiettivi da raggiungere. Normalmente si dividono in due aree di attenzione: la prima rivolta al risultato del proprio business e l’altra al messaggio o informazioni che si vogliono dare al cliente (raccogliere adesioni, divulgare notizie, scaricare contenuti etc.). 

Bene, adesso che sappiamo come gestire una newsletter in modo funzionale, analizziamo un case study!

Il boom dell’Estetista Cinica 🧠

Un esempio che rappresenta perfettamente la somma di tutti i suggerimenti sopra esposti, e che aggiunge anche innovazione e particolarità creativa, è quello dell’imprenditrice italiana Cristina Fogazzi (in arte “l’Estetista Cinica”). Vediamo grazie a lei come scrivere una newsletter efficace e accattivante!

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Cristina Fogazzi

I successi ottenuti la pongono come caso non solo di studio per quanto riguarda il rapporto fra newsletter e marketing, ma anche come metodo da seguire per ottenere un risultato positivo. 

Partendo da ciò che abbiamo affrontato precedentemente, uno dei punti fondamentali per ottenere un riscontro positivo è la corretta formulazione dell’oggetto

La vita della nostra email: letta o spam? 📨

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Esempio di oggetto dell'email - Estetista Cinica

L’esempio riportato sopra è un estratto di una delle newsletter di Cristina Fogazzi, come possiamo vedere abbiamo un unico concetto, un testo suddiviso in due parti e una grande creatività che attira l’attenzione.

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Esempio di una parte di testo dell'email - Estetista Cinica

Così come possiamo leggere dall’estratto di questa e-mail, i testi sono sempre molto coinvolgenti, riportano fatti accaduti personalmente ma che potrebbero riguardare tutti. Espressi sempre in modo simpatico e diretto. 

Il messaggio è professionale e soprattutto utile a chi legge ma reso comunque accattivante.

Dal servizio offerto ai prodotti scontati, tutto viene sempre calcolato in ogni minimo dettaglio: prodotti legati alla stagione in cui è mandata l’e-mail per risolvere problemi contingenti, frasi dirette a creare l’urgenza, la possibile scarsità del prodotto, promozioni a tempo etc. 

Infine, in una email così ben strutturata, non può mancare un footer completo di tutta quella serie di pulsanti utili a risolvere ogni dubbio o necessità di chi sta leggendo. E allora bene a sconti se si completa il proprio profilo, alla possibilità di condivisione sui social, a prodotti per i fan più accaniti, consigli utili e Faq in caso di dubbi. 

Ma il suo obiettivo? 🔍

Quello di fidelizzare il cliente facendolo sentire importante e al sicuro, parte di un gruppo e soprattutto fiero di appartenervi.

Perché non dimentichiamo mai che la pubblicità più importante rimane sempre il passaparola di chi è contento del prodotto/servizio.

Conclusioni: qual è allora il segreto per cogliere sempre nel segno? 🖊

Creare sempre contenuti di valore da inviare ai propri contatti per creare un legame costante ma di livello qualitativamente buono.

Cercare di anticipare i bisogni dei clienti, essere di aiuto su problematiche reali o potenziali, rassicurare sulla nostra presenza o sui nostri prodotti. 

La nostra newsletter, in ogni sua parte, deve essere confezionata sull’azienda e per il target come un abito sartoriale.

Come aumentare la propria brand awareness: il caso dei luxury brand

Che cos’è la brand awareness? Si tratta di uno degli indicatori più importanti per un’azienda. Scopriamo insieme quali sono le strategie per trasformare un brand in un brand di successo.

Brand Awareness, o anche Notorietà o Riconoscibilità di marca, è un parametro che indica quanto il tuo brand e relativi prodotti o servizi siano conosciuti e riconosciuti nella mente dei consumatori. (Uptimization, Dicembre 2014)

A cosa serve la brand awareness?

Fondamentale per l’esistenza stessa di un brand è la percezione che i consumatori hanno dello stesso: tutti noi abbiamo una nostra opinione su un’azienda, sui prodotti o servizi che offre. Questa opinione è insita in noi e deriva da tutte quelle sensazioni ed emozioni che quel brand risveglia in noi inconsciamente. 

In questo senso, avere una brand awareness alta non solo posiziona l’azienda fra le prime del settore a livello di percezione del consumatore ma conferisce fiducia nel marchio portando con più facilità  all’acquisto del prodotto.

Come aumentare la propria brand awareness?

La brand awareness si aumenta grazie a un complesso processo di comunicazione. La reputazione di un marchio, derivante anche dal livello dei prodotti o servizi offerti, si basa soprattutto sulla strategia di comunicazione, e il corrispettivo piano, approntati dall’azienda.

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Strumenti per aumentare la brand awareness online

  1. Social Media
    Possono essere definiti come il nuovo strumento di comunicazione e contatto tra brand e utenti. Sono tali tutti quei canali attraverso cui si diffondono i contenuti del brand (post, fotografie, video) tramite piattaforme di social networking e social network. Attraverso il piano editoriale, il community management e il tone of voice giusto si riesce a fidelizzare il cliente, comunicare con esso e farlo sentire sempre in contatto con l’azienda. 
  2. Influencer Marketing
    Questo è uno strumento innovativo e di successo assicurato.  Si configura quando un personaggio con tanti followers sui social network pubblicizza un brand. In poco tempo, se la pubblicizzazione è stata studiata bene, la propria brand awareness può aumentare considerevolmente. La sponsorizzazione attraverso influencer deve però risultare veritiera, ovvero la scelta del personaggio deve essere ponderata sui valori aziendali. 
  3. Sito Web
    Il sito ufficiale del tuo brand deve contenere tutte le informazioni utili per l’utente, fornite in modo semplice e diretto. Deve essere piacevole e di facile consultazione sia da pc che da mobile. Oltre ai propri contenuti, un sito deve anche essere ottimizzato perfettamente. Per aumentare la popolarità del brand, infatti, il sito deve risultare sempre nei primi posti nella serp dei motori di ricerca; questo lo si ottiene attraverso una attività CEO continua e mirata. 
  4. Campagne di Digital Advertising
    Servono per avere una più ampia visibilità anche fra coloro che non conoscono il brand.  Le campagne di digital advertising si possono sviluppare tramite l’unione di uno o più strumenti, come per esempio i contenuti sponsorizzati, i banner ecc. Anche Google Ads e Facebook Ads sono strumenti utili per la propria brand awareness, soprattutto per il suo monitoraggio.
  5. App
    Un modo per rimanere sempre in contatto con i propri utenti e creare una sempre maggiore fidelizzazione. Per poter assolvere al proprio ruolo devono però essere semplici da usare e intuitive.

Strumenti per aumentare la brand awareness offline

  1. Ufficio Stampa
    Elemento che ha un ruolo sempre più complesso nel panorama della comunicazione aziendale. Si tratta dell’organo generale che diffonde le notizie aziendali verso l’esterno, sia attraverso le modalità offline che online.
  2. Campagne di Advertising
    Si tratta della pubblicità fatta con i media tradizionali che, se studiata ed eseguita bene, è in grado di stravolgere da sola la brand awareness.
  3. Eventi
    Altro strumento utile per il rafforzamento del legame brand cliente. Oggi più che mai gli eventi devono essere progettati attentamente, non soltanto nella loro realizzazione concreta ma anche per poter essere diffusi attraverso la condivisione. Le nuove tecnologie e i continui cambiamenti che stiamo vivendo hanno aperto nuovi orizzonti per la condivisione e realizzazione degli eventi.

Come si misura la propria brand awareness?

Misurare la propria brand awareness è un procedimento non semplice ma è sicuramente molto importante. L’economista David Aaker ha ideato quattro suddivisioni utili a capire a che punto si posiziona la propria azienda relativamente alla propria brand awareness. La cosiddetta Piramide di Aaker, infatti, consente di individuare lo stato attuale di posizionamento di un brand e indicare la via per il raggiungimento del Top of Mind.

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Piramide di Aaker

I quattro stadi della Piramide di Aaker sono:

  1. Unaware of a Brand: alla base della piramide abbiamo la totale mancanza di conoscenza del marchio. In questo stadio i potenziali clienti non sanno dell’esistenza del marchio. 
  2. Brand Recognition: al gradino sopra troviamo tutti quei brand che sono conosciuti dai clienti soltanto in riferimento ad una domanda o stimolo (notorietà sollecitata). 
  3. Brand Recall: è un livello medio alto di conoscenza. Il marchio è presente nella mente dei clienti che cercano un determinato prodotto o servizio.  
  4. Top of Mind: è l’apice della piramide. Il marchio ha raggiunto una notorietà tale da diventare il primo che viene in mente al consumatore quando pensa ad un determinato prodotto. 

Luxury e brand awareness

Un esempio concreto di ciò che vuole dire brand awareness e soprattutto essere nella top of mind lo possiamo trovare con il marchio di lusso Gucci. 

Pensa ai primi tre marchi di moda di lusso che ti vengono in mente. Sicuramente è molto probabile che il marchio Gucci rientri fra uno di questi e questo significa che nel suo settore ha raggiunto, dopo anni di indiscussi successi, la top of mind; un grado di consapevolezza sicuramente molto elevato.  

Tutti i marchi di lusso generalmente rientrano nella top of mind in quanto rappresentano un mercato di nicchia verso il quale il consumatore aspira di arrivare. Si differenziano dal mondo dei marchi di moda di massa e diventano icone di stile impresse nella mente dei consumatori. Questo impone al marchio stesso una scelta molto accurata, d’elite, della comunicazione che viene fatta del prodotto attraverso canali idonei a mantenere i prodotti in una specie di “Olimpo” difficilmente raggiungibile. 

Il designer di scarpe Manolo Blahnik ha raggiunto la propria top of mind attraverso le celebrità e nonostante avesse soltanto due negozi. Il collegamento del brand alla famosa trilogia Sex and the City ha definitivamente impresso nella mente del consumatore l’associazione tra il marchio e l’emisfero lusso.

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Nota bene: spesso tendiamo a confondere riconoscimento del marchio e richiamo del marchio, questi però non sono la stessa cosa. Riconoscere un marchio vuole dire ricordare il marchio quando si viene in contatto con esso o con marchi simili. Mentre, il richiamo al marchio si ha quando il consumatore associa direttamente ad una certa categoria di prodotti quel particolare marchio, per esempio per la categoria pasta il marchio Barilla. In questo caso il marchio ha raggiunto quello che viene considerato lo step finale della piramide di Aaker (Top of Mind).  Questo è l’obiettivo massimo che si può porre alla propria Brand Awareness; essere, quindi, il primo riferimento dei consumatori di fronte ad una necessità.

Conclusioni

Prendere coscienza del reale posizionamento del proprio marchio nella mente del consumatore e adottare tutte le strategie possibili per procedere verso la top of mind del proprio settore, rappresentano il percorso fondamentale che ogni brand deve compiere se vuole ottenere una brand awareness di successo.