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Categoria: Brand

Food Marketing: come portare in tavola il tuo piatto forte

Al giorno d’oggi è sempre più difficile stare al passo con i tempi e seguire le ultime tendenze del food marketing.

Il consumatore contemporaneo e i suoi bisogni sono cambiati, i mercati si sono estesi in fretta e la concorrenza è sempre più alta. Per riuscire ad avere successo nel Food Marketing bisogna sapersi distinguere, vediamo insieme come.

Cos’è il Food Marketing

Il cliente, cosciente e continuamente aggiornato, non è più condizionato da una semplice azione di vendita, ma cerca un’esperienza da vivere e un’identità nella quale potersi rispecchiare.

Non basta più vendere un prodotto di alta qualità: le persone cercano nel cibo un’esperienza estetica ed sensoriale.  

Il Food Marketing rappresenta le strategie commerciali e comunicative che aumentano la vendita dei prodotti e la percettibilità di un brand, ma allo stesso tempo permettono un rapporto duraturo tra l’azienda e i clienti.

Il Digital Marketing a servizio del food

L’Italia è la patria della cucina mediterranea amata in tutto il mondo, dove il cibo diventa prelibatezza per il gusto, l’olfatto e la vista.

Per questo motivo gli italiani, da sempre abituati a delle dignitose pietanze, diventano involontariamente severi clienti con alte esigenze. 

Il tema del food è capace di diventare istantaneamente virale sui social e in rete.

Alcuni dati confermano che:
#food è il 25° hashtag più utilizzato di sempre, con più di 252 milioni di citazioni.
Milioni di utenti visitano quotidianamente un sito relativo al food.

La migliore ricetta per parlare di cibo

Nel settore alimentare è importante immaginare e sviluppare da subito una pianificazione strategica efficace e pensata appositamente per il proprio brand.

Sicuramente il modo migliore per coinvolgere ed emozionare è quello di raccontare una storia. Le storie fanno parte della vita di ogni persona: siamo sempre stati abituati a vedere il mondo che ci circonda attraverso la narrazione. Creare una storia quindi permette di accrescere un solido rapporto con il consumatore, capace di essere sorpreso e sapersi raccontare.

Il cibo non rappresenta più solo un bisogno, perché i consumatori ricercano qualcosa di più quando entrano in un locale o testano un prodotto: originalità, colori, sapori e sensazioni.


Un’ottima campagna di Food Marketing deve riuscire ad intercettare le preferenze dei clienti, coltivando le diverse tipologie di contenuto in grado di catturarne l’attenzione. 

La comunicazione visual è senza ombra di dubbio il canale favorito, soprattutto in risposta ai clienti. Le immagini, assieme alle parole riescono a stimolare ricordi, emozioni e sensazioni.

Quante volte ti è capitato di provare fame solamente alla vista della foto di un gustoso piatto?

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Fotografare il cibo è diventato un vero e proprio mestiere

Da quando i social media fanno parte della nostra quotidianità, è cresciuto sempre di più un interesse per tutto ciò che riguardasse immagine e fotografia.

Instagram rappresenta un esempio lampante, gioca sull’immediatezza e sulla curiosità, sulla condivisione di immagini con brevi commenti. Tra le tante possibilità di interazione e le immagini visibili, sicuramente le foto di cibo hanno sempre ottenuto un grande riscontro.

Perché è così interessante fotografare il pasto che stiamo per consumare?

Ritrarre il cibo è un’arte, questa è una certezza ormai. La food photography è una specializzazione della fotografia, la produzione di immagini attraenti di cibo utilizzate per scopi pubblicitari e per promuovere i piatti dei ristoranti, delle catene di fast food, dei bistrot e dei locali a tema.

Da Bun Burgers si mangia gratis in cambio di un TikTok

Bun Burgers si è sempre distinto dalle altre catene di fast food per la sua forte comunicazione e strategia adottata sui social.

Innanzitutto, spicca la possibilità di ordinare ogni burger nella versione veggie grazie all’utilizzo di Beyond Meat. Il design di interni stimola l’appetito, è fresco e colorato: luci fluo e insegne neon, insieme ad un ottimo hamburger, rendono l’esperienza assolutamente instagrammabile.

Per la sua nuova apertura a Milano, l’anima digitale di Bun Burgers ha deciso di utilizzare TikTok per una campagna che ha fatto tanto parlare di sé nel modo giusto. Il locale ha lanciato una promo attiva per tutto il mese di novembre.

Per partecipare bastava visitare uno dei vari Bun Burgers, creare e condividere un TikTok e mostrarlo in cassa per ricevere un menù gratis a scelta.


Inutile dire quanto il contest sia andato virale sui social, facendo letteralmente impazzire gli utenti, che si sono mostrati sempre più interessati e coinvolti.

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Tutti pazzi per il Selfiefood

La tendenza di postare piatti visivamente estetici, ha dato vita ad una nuova moda: il selfiefood. Basta un filtro, un’inquadratura pensata ad hoc e una luce perfetta, per realizzare un selfiefood di alta qualità.

È importante che le pietanze mangiate non siano tanto gustose, quanto fotogeniche per i social. 

C’è chi lo fa per professione, chi per semplice passione. Tutti, ma proprio tutti, amano condividere i propri selfie di cibo: dalle celebrità al nostro amico fissato, dagli amanti del cibo ai blogger. 

Per migliorare la qualità delle foto dei propri clienti, il locale Dirty Bones di Soho fornisce gratuitamente il kit “Foodie Instagram Pack”.

Foodie Instagram Pack: il kit per scattare foto perfette

Dirty Bones, la catena a Soho che offre piatti e bevande newyorkesi newyorkese, fornisce ai clienti un “Foodie Instagram Pack” gratuito, permettendo loro di poter fare foto uniche, da condividere sulla piattaforma social per riscuotere successo. Ogni kit in dotazione contiene una luce a Led, un caricatore portatile, delle lenti grandangolo e un bastone per selfie.

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"Foodie Instagram Pack" - Dirty Bones
«Le persone che vengono a mangiare al Dirty Bones sono in genere molto attive sui social e questo ci spinge ad inventare di continuo piatti e cocktail che non siano solo deliziosi, ma anche visivamente attraenti»
Cokey Sulkin
Fondatore del Dirty Bones

Secondo i professionisti, il “Foodie Instagram Pack” è un approccio fresco, innovativo e intrigante che sfrutta una strategia di marketing efficace nel mondo della ristorazione.
È quindi prevedibile pensare che in futuro altri ristoranti possano adottare servizi simili o ancora più insoliti e sorprendenti.

Conclusioni

Il cibo non è soltanto una necessità biologica, ma trasmette moltissimi significati comunicativi, relazionali e sensoriali. È una costante nel nostro vivere quotidiano, esprime sapori che più ci rappresentano, riassapora ricordi i concreti e quelli meno tangibili, simboleggia un intenso viaggio emotivo e sensoriale.

La fidelizzazione al brand nell’era digitale, il caso Burberry

Le nuove tecnologie e la digitalizzazione stanno producendo un cambiamento totale nel modo di comprare, pensare, lavorare e vivere.

Non solo da un punto di vista puramente tecnologico e informatico, ma anche sociologico, filosofico e psicologico. Negli ultimi anni si è scritto molto sui profondi mutamenti che il digitale sta apportando alla vita dell’uomo e al suo essere cittadino del mondo.

Una forte accelerazione a questo cambiamento è stata data dalla pandemia del 2020-2021 che da un giorno all’altro ha paralizzato l’intero pianeta; questo nuovo scenario mondiale ha spinto verso soluzioni alternative e reso indispensabile il ruolo della tecnologia digitale.

Il potere delle community

A seguito della lettura del testo #community manager dietro le reti ci sono le persone di Osvaldo Danzi e Giovanni Re, ho cercato di comprendere come anche nel settore della moda, queste innovazioni e cambiamenti avessero preso atto.

Non ero a conoscenza dell’utilizzo delle community così come sono state illustrate nel libro e questo mi ha fatto riflettere su quanti nuovi metodi di fidelizzazione e comunicazione potessero prendere forma soprattutto con l’innovazione digitale.

Argomenti come la brand community, la digitalizzazione e purtroppo i postumi economici e psicologici della pandemia in corso di Covid-19 mi hanno aperto la strada ad effettuare nuove ricerche di settore per comprendere i nuovi potenziali scenari che si prospetteranno in un prossimo futuro.

Ciò che è emerso è una nuova sfida che attende le aziende di moda nel passaggio dalla vecchia filiera di produzione e commercializzazione fino alla nuova necessità di maggiore presenza sul web usando tecnologie innovative e impensabili fino a pochi anni fa.

Strategie da brevi a lungo termine

Dal sempre maggior utilizzo dell’e-commerce alla realtà aumentata come trampolino di lancio per una nuova strategia di proposizione e vendita dei prodotti. Il nuovo mercato impone scelte immediate per fronteggiare adesso una situazione di emergenza ma in futuro da sfruttare e ampliare per creare un continuum che porti i brand ad un livello superiore e adeguato ai tempi.

Sicuramente non scompariranno i negozi e non si perderà il contatto con il consumatore ma questo potrà essere affiancato da un coinvolgimento totale e personale del quale il consumatore potrà godere direttamente a casa propria.

Umanizzazione del digitale

Da affiancare agli studi prettamente informatici che stanno proiettando i brand in un mondo virtuale tutto da scoprire c’è la continua ricerca a livello sociologico e psicologico di rendere questi nuovi strumenti “umani”. 

Oramai la frontiera più importante è quella della umanizzazione del digitale in correlazione con il riposizionamento al centro dell’intero piano marketing del cliente. Accettando il fatto che il cliente possa non essere direttamente presente e a contatto con il prodotto emerge la necessità per le aziende di entrare in empatia con il consumatore per fornire un servizio sempre più mirato alle sue esigenze.

L’importanza di creare community di brand per accrescere non solo la fidelizzazione ma anche il senso di appartenenza andranno di pari passi con la realizzazione di una sempre maggior personalizzazione del servizio.

Stop and Go - Covid 19

citazione chris morton

Queste righe racchiudono il concetto di ciò che sta investendo il mondo della moda in questo difficile periodo. L’ineluttabilità delle conseguenze di una pandemia globale deve portare ad un’attenta analisi di cosa è successo ma soprattutto ad una necessaria visione di un futuro diverso che sappia cogliere, anche da un momento negativo come questo, linfa nuova di cambiamento.

All'inizio della pandemia

I dati di partenza sono pesanti: un danno economico stimato con cali di fatturato di oltre ⅓ solo nel 2020. Il punto di arresto si è concretizzato su due livelli: in un primo momento con lo stop alla produzione dovuto alla necessità di chiusura delle fabbriche e contemporaneamente con la chiusura della distribuzione che ha comportato una paralisi totale del mercato.

Alcune realtà si sono parzialmente riconvertite in aziende atte a produrre materiale indispensabile per il momento che stiamo affrontando ma sicuramente anche questa occasione non ha risanato il danno ingente all’economia di settore.

 

La risposta dei consumatori

In un successivo momento è intervenuto un comportamento psicologico di sfiducia dell’acquirente che, sull’onda delle preoccupazioni pandemiche, non ha trovato più necessario acquistare beni che, viste le circostanze, apparivano superflui.

Questi nuovi e inaspettati scenari hanno spinto i player del settore moda a rivedere l’intera filiera del comparto, dalla produzione alla commercializzazione, per cercare di adattarsi il più velocemente possibile alle nuove esigenze di vita e di consumo.

La digitalizzazione del fashion marketing

L’utilizzo del canale digitale soprattutto nel momento dell’acquisto del prodotto (e-commerce) da anni sta portando ad abitudini di consumo differenti presupponendo nel futuro scenari nuovi anche per il settore moda.

Questa trasformazione, che all’inizio era una semplice evoluzione moderna con l’introduzione nel fashion marketing dell’utilizzo del digitale, ha subito un’accelerazione pazzesca in un momento in cui l’impossibilità di farsi raggiungere fisicamente dal cliente ha cambiato radicalmente i panorami di promozione e vendita.

Infatti non è stata soltanto la chiusura dei negozi, ma anche l’impossibilità di presentare sfilate o di creare altre occasioni di contatto fisico tra brand ed acquirenti a portare verso un ripensamento dell’intero impianto.

Nuove strategie di vendita e fidelizzazione

Il ricorso all’utilizzo di strumenti virtuali, a due anni dall’inizio della pandemia, non viene più percepito come unico elemento possibile di interrelazione con il mondo esterno, ma come prolungamento delle interazioni fisiche.

Questo cambio di mentalità nel consumatore sta portando anche il settore moda a rivolgersi ad un marketing differente e capace di esplorare potenzialità digitali che fino ad oggi non sembravano avere così tanta importanza.

Quello che fino a questo momento poteva apparire come un gioco accattivante adesso diventa strategia di vendita e fidelizzazione. Con una visione rivolta al futuro l’intero settore sta cogliendo l’evoluzione digitale come nuovo momento di contatto tra cliente e brand spostando il piano d’incontro dall’esterno all’interno delle abitazioni. 

Fashion brand e digital

Il cambiamento che il digitale sta imponendo al fashion marketing lo si riscontra su due diversi livelli: il primo strettamente inerente la capacità di analisi dei dati che l’informatica offre, mentre il secondo rivolto ad un cambiamento radicale dello scenario di promozione e fidelizzazione.

 

L’utilizzo delle piattaforme informatiche e dei social offre la grande opportunità di raccogliere quanti più dati possibili sul cliente: la profilazione, la qualificazione e la gestione di interi patrimoni di dati portano alla possibilità di analisi di mercato precise, di piani budget ben delineati e di interventi continui di ricerca mirati alle esigenze contingenti.

D’altronde diventa e diventerà sempre più importante la centralità dell’acquirente in un mondo che ha definitivamente spostato l’asse dal brand all’utente.

Un nuovo sistema “clientecentrico”

clientecentrico

Le esigenze dei consumatori stanno cambiando velocemente e il processo di trasformazione delle aziende operanti sui mercati retail deve poter procedere di pari passo: empatia, personalizzazione e coinvolgimento.

L’ottica di promozione e vendita non può basarsi soltanto sulla conoscenza storica del marchio e sulla catena dei punti vendita, è cambiato totalmente il panorama di contatto e quindi il sistema è diventato “clientecentrico”.

 

L’azienda deve raggiungere il cliente nella propria abitazione, si deve mostrare, deve essere in grado, sfruttando la tecnologia digitale, di creare emozioni e desideri anche in un panorama di distanza. Diventano peculiari i concetti di community e di user experience per stimolare il cliente all’acquisto.

1. Brand community

Già da anni le brand community hanno rivoluzionato il modo di fare marketing espandendo all’intero mondo internet i confini aziendali. La brand community è una community online basata sull’interrelazione fra azienda e consumatori. Differentemente dagli altri strumenti di marketing i membri delle community non solo parlano con il brand ma anche fra loro e con i dipendenti.

2. La cultura del cliente

Non si tratta più di una comunicazione unidirezionale a cascata ma di una stimolante interazione continua fra esterno e interno che permetterà all’azienda di calibrare meglio le scelte di marketing future. Il cliente si sente ascoltato e aumenta dentro di sé la sua percezione di essere importante nelle scelte aziendali, acquista fiducia in sé e nel brand ed è sempre più orgoglioso di farne parte.

3. Un cliente fidelizzato

Il senso di appartenenza, la comunicazione e la condivisione fanno sì che il rapporto fra utente e brand si estenda andando oltre il semplice acquisto ma acquisendo un valore emozionale che lo porterà ad essere non solo fedele ma anche affezionato. Dalle community all’atteggiamento “digital-first” degli utenti che sarà destinato a consolidarsi in futuro.

4. Marketing empatico

La nuova grande sfida per le aziende sarà proprio quella di sapersi differenziare non solo per i prodotti offerti ma anche per la capacità di creare empatia con l’acquirente, di saperlo coinvolgere e farlo sentire parte di un grande progetto, di conquistarlo non solo più a livello di contatto fisico con l’articolo venduto ma anche a livello indiretto con ogni strumento la tecnologia possa mettere a disposizione. 

La differenza tra User e Customer Experience

User Experience

User Experience o UK è il termine che identifica la relazione fra una persona e un prodotto o servizio. Riguarda, quindi, tutti gli aspetti che coinvolgono l’interazione fra un utente e un brand, è letteralmente “l’esperienza” coinvolgendo in essa tutti gli elementi affettivi, valori ed emozioni che accompagnano il soggetto durante questo percorso

Come migliorare la user experience?

Questa viene sicuramente migliorata grazie all’ausilio delle tecnologie digitali come l’intelligenza artificiale e per questo motivo diventano sempre più importanti i dati di base su cui lavorare per creare messaggi, timing e contenuti più in linea con le esigenze dei singoli utenti.

I brand sono chiamati a compiere una vera e propria connessione diretta con il consumatore che deve riuscire a provare tutte quelle emozioni positive che lo fidelizzano pur rimanendo davanti al proprio pc.

Eliminare il limite della distanza fisica con un’apertura diversificata dei punti di contatto con il brand attraverso i dispositivi mobili.

Customer experience

La Customer Experience o CX è l’esperienza complessiva che i clienti vivono durante tutta la loro relazione con il brand. Le aziende dovranno, con i loro piani marketing, acquisire e consolidare la fiducia del consumatore mettendo in atto tutte le strategie necessarie per costruire nuovi modelli di profilazione e nuove soluzioni per creare sempre maggior empatia e senso di appartenenza con esso. 

Come migliorare la customer experience?

Investire sulla customer experience diventa fondamentale per aiutare a comprendere meglio i bisogni e le abitudini e arrivare a costruire un’esperienza unica per il singolo cliente unendo in futuro sia il canale digitale che il contatto diretto. L’e-commerce è antecedente al lockdown come modalità di acquisto ma la chiusura forzata ha portato ad un approccio differente da parte del consumatore che deve esser tenuto in forte considerazione per le strategie future.

Cosa vuol dire entrare nella comfort zone del cliente?

L’accento in ogni piano marketing degli anni a venire dovrà essere necessariamente posto sulla dimensione umana dell’individuo, sulle sue paure, sui suoi desideri e necessità calibrando continuamente interventi e azioni. Solo ricostruendo la fiducia del consumatore si potrà ottenere una fidelizzazione che abbia radici solide nel tempo.

E il piano su cui giocare questa sfida sarà la casa di ogni singolo acquirente, sarà entrare in quella confort zone che ognuno di noi è stato costretto a crearsi in un momento così difficile.

comfort zone

Strumenti della trasformazione digitale

La necessità è diventata quella di fornire attraverso touch point esperienze uniche e coinvolgenti e sempre più interattive.

Vi sono alcuni strumenti e tendenze ultimamente utilizzate dalle case di moda che stanno portando verso una trasformazione digitale importante e irreversibile, vediamone alcuni insieme.

1. Virtual Showroom

Il virtual showroom, ovvero la presentazione delle collezioni interamente virtuale, permette a buyer e partner di consultare e visualizzare foto, schede tecniche del prodotto, immagini interattive in un ambiente riservato e protetto e ovunque si trovino. Questa forma di tour virtuale è utilizzata anche dai clienti che hanno la possibilità di visitare, grazie anche alla realtà aumentata, non spostandosi dalla propria sedia i più lussuosi negozi di moda del mondo. Metodologia fortemente voluta da Prada, Valentino, Dolce&Gabbana e Ralph Lauren. Proprio quest’ultimo, per esempio, ha creato un negozio virtuale che consente di visitare 4 dei più importanti negozi del brand: New York, Parigi, Hong Kong e Beverly Hills a portata di un semplice click.

2. Gaming

Il sempre maggiore impiego di giochi al fine di attirare i consumatori sta diventando uno strumento importante di marketing su cui molte aziende stanno puntando. Il fenomeno cosiddetto della “gamification” ha attirato numerose start up di settore creando un notevole interesse. Ad esempio una piattaforma presentata dal marchio Sunnei ha come protagonisti 10 avatar del brand vestiti con abiti della nuova collezione. Il gioco non ha uno scopo preciso e permette l’utilizzo anche da cellulare. Si è dimostrato un divertente modo per coinvolgere la community globale del brand cosa che la passerella non riuscirebbe a fare. Altri importanti brand di moda hanno annunciato il lancio di una game-app interattiva che permette agli utenti di creare un avatar personalizzato e fare sfide fashion con gli altri utenti.

3. Sfilate online

Le sfilate online saranno sempre più pensate non solo come una necessaria alternativa ma anche come una normale prosecuzione delle sfilate in presenza. Inoltre, attingendo alle potenzialità della realtà aumentata sarà possibile attivare layer informativi e innumerevoli punti di vista per far vivere una esperienza totale anche a distanza. Un esempio importante è stata una delle prime Fashion Week post-pandemia, tenutasi dal 22 al 28 Settembre 2020 a Milano. Hanno partecipato i più quotati stilisti del mondo insieme a giovani emergenti con sfilate live e digitali. Stesso schema seguito anche dagli eventi come il Fuorisalone. Sfilate a porte chiuse e diretta televisiva per Armani, emotivamente colpito dalla pandemia, e un graditissimo rientro in patria di Valentino ne sono uno degli esempi più eclatanti.

4. Camerini prova virtuali

Si è parlato molto di questo argomento nella 4° edizione del Summit e-P (il più importante appuntamento italiano sull’innovazione digitale nel campo della moda) organizzato da Pitti Immagine e svoltosi in streaming il 21 Ottobre 2020. Il camerino di prova virtuale prevede la creazione di un avatar che possa indossare gli abiti al posto proprio sperimentando abbinamenti, colori, modelli e tessuti. Questa idea innovativa era stata, ad esempio, proposta da Gap e dalla sua DressingRoom. La multinazionale dell’abbigliamento aveva presentato nel 2017 un’app per la prova degli abiti in realtà aumentata. Anche in questo caso viene creato un proprio avatar e successivamente è possibile iniziare la prova degli abiti in ambientazioni sempre più curate e personalizzabili. 

5. Personal shopper digitali

Il personal shopper digitale è uno specialista di moda in carne e ossa che offre consigli in streaming e può mostrare al cliente i look indossati, indicazione sui prezzi e suggerimenti sulle occasioni d’uso. Un’attenzione particolare e diretta al singolo consumatore e alle proprie esigenze che permette di dare quella sicurezza nell’acquisto che la distanza può naturalmente togliere. Un esempio di questo nuovo modo di fare acquisti lo possiamo ritrovare nelle scelte attuate dal gruppo Miroglio, per i punti vendita Motivi ed Elena Mirò. Il brand, infatti, ha scelto di sfruttare il servizio Go Instore, grazie al quale le clienti possono collegarsi direttamente al sito e farsi consigliare dalle addette vendita proprio come se fossero in negozio.

Il caso Burberry

Il brand Burberry è stato uno dei primi a cogliere l’occasione della multicanalità delle strategie con scelte intraprese per meglio posizionarsi a livello social e di interrelazione digitale.

azienda 100% digitale

Nel 2006 Angela Ahrendts e Christopher Bailey, CEO e Chief Creative Officer del marchio, hanno dichiarato la loro volontà di trasformare Burberry nella prima azienda di moda “100% digitale”. Attraverso le grandi campagne di content marketing, dal 2006 ad oggi, la casa di moda inglese ha contribuito a trasformare il brand in una macchina generatrice di contenuti di successo.

La realtà aumentata per esperienze sempre più personali

Oggi, con l’ulteriore strumento della Realtà Aumentata, primo brand ad averla usata nel campo della moda, l’azienda sta cercando di dare un impulso propulsivo alla commercializzazione utilizzando la tecnologia per creare un’esperienza di acquisto sempre più emozionante e cucita intorno al cliente. È stata utilizzata la piattaforma Google per rendere possibile ai consumatori di interagire nel modo più semplice creando i propri abbinamenti dopo averli ponderati in associazioni personalizzate (ad esempio può essere posizionata una borsa vicino ad un abito in realtà aumentata nell’ambiente che ci circonda per avere una migliore idea dell’accostamento e del prodotto che stiamo per acquistare).

Gaming Technology

Altro strumento digitale fortemente voluto da Burberry e utilizzato è quello della Gaming Technology attraverso una stretta collaborazione con l’azienda Koffeecup. Insieme sono arrivati allo sviluppo di un software che ha rivoluzionato lo scenario del fashion design. 

Tutto questo ha reso sempre più veloce e semplice il posizionamento delle stampe sui tessuti riducendo il consumo di carta nella fase di progettazione dei campionari. Quindi meno sprechi di fabbrica e un’azienda che si pone agli occhi del cliente come virtuosa e attenta alla sostenibilità per recuperare fiducia e affidabilità.

L’importanza dell’esperienza del marchio

Angela Ahrendts ha dimostrato in questi anni una visione lungimirante volta a creare una vera e propria “impresa- social”, dove impiegati, clienti e fornitori condividono la stessa esperienza del marchio, sia attraverso negozi che piattaforme social. Una forma ancora più moderna di community ove l’interscambio fra azienda e utenti possa definirsi totale. Attraverso un insieme di applicazioni (sviluppate grazie a Salesforse.com) si permette a impiegati di vari reparti e ai clienti di reinventare la loro interazione come brand community. Utilizzando un programma chiamato Chatter, i dipendenti hanno accesso ai dati sulle visite virtuali, alle attività dei visitatori, possono commentare in tempo reale tweet o interventi sul blog. Ognuno può aprire il proprio “portale-Burberry” e iniziare ad interagire sui più svariati argomenti.

Co-creazione di un’azienda

L’azienda, d’altro canto, può sfruttare questi canali per fissare appuntamenti nei punti vendita per i più disparati motivi (dalla prova per acquisto alla sostituzione o riparazione di capi). I dipendenti si sentono perfettamente integrati a tutti i livelli dell’azienda e gli utenti possono sfruttare tutte le risorse tecnologiche messe in campo da Burberry per diventare parte integrante del brand: sfilate, suggerimenti su linee future, chat e acquisto di capi.

La vera rivoluzione sta quindi nella co-creazione umana: impiegati e clienti che lavorano insieme alla riuscita di un brand di successo.

Conclusioni

In questo periodo la strategia migliore per le aziende potrebbe essere quella intrapresa da Burberry, unire sapientemente il proprio passato con un futuro che si prospetta sempre più tecnologico e avveniristico.

Per fare questo si dovrà affrontare un presente sicuramente difficile ed incerto sfruttando i bisogni e le conoscenze in nostro possesso e lanciandosi in una sfida che va ad unire online e offline, tenendo sempre al centro di ogni scelta il consumatore finale.

Fonti

L'articolo sopra riportato è la rielaborazione di un'analisi e riflessione realizzata da me in data 17/02/2021. 

Bibliografia ulteriore: "#community manager dietro le reti ci sono le persone" di Osvaldo Danzi e Giovanni Re

In che modo i colori esprimono la personalità di un brand?

Da sempre siamo stati abituati a fermarci di fronte a una luce rossa perché trasmette urgenza e pericolo, mentre una luce verde promette apparente sicurezza. Vi siete mai chiesti il perché?

Ogni colore viene percepito in maniera innata e trasmette sensazioni collegate a sentimenti o reazioni umane. Il colore si ricorda più facilmente di una parola o una  forma

In questo articolo scopriamo come i colori possono esprimere la personalità di un brand e influenzarne la percezione.

Il fenomeno della persuasione stimola i consumatori all’acquisto

«Immaginiamo per un momento come sarebbe la vita in un mondo senza colore, un mondo in cui potessimo vedere solo in bianco e nero. Ci è quasi difficile immaginarlo, perché è proprio il colore che definisce il nostro mondo.»

Laurie Pressman, Vicepresidente del Pantone Color Institute

Il colore è un elemento identificatore, ci induce a sentire una connessione con l’ambiente, è un mezzo prezioso per esprimere e trasmettere idee.

Ognuno di noi attribuisce ai colori emozioni e sensazioni differenti, ma alcune caratteristiche vengono percepite in modo univoco.

Ad esempio, quando osserviamo un prodotto, tutti noi inconsciamente ci soffermiamo sull’aspetto visivo, che, rispetto al tatto e all’olfatto, ci influenza maggiormente.
Lo stimolo visivo è il primo aspetto sensoriale che ci orienta nella scelta

Per ottenere un rapporto di fiducia e stima reciproca con l’acquirente, un brand ha bisogno di persuaderlo e di attirare la sua attenzione. Come vedremo, il colore aumenta dell’80% il riconoscimento di un marchio: è uno strumento necessario per riuscire a farsi notare.

Vediamo in che modo un colore, attraverso la sua forte risonanza, possa diventare l’essenza stessa del brand.

Blue Tiffany, l’unicità di un colore inconfondibile

Blue Tiffany, questo nome riconduce alla famosa gioielleria Tiffany & Co. di New York.
È il colore dell’amore e delle emozioni, così iconico, elegante, fresco e delicato che non può essere sminuito.

Il colore venne scelto dal fondatore Charles Lewis Tiffany per la copertina del Blue Book, una raccolta annuale di gioielli.

Protetto da copyright, il Blue Tiffany viene prodotto con il numero 1837, che corrisponde all’anno di fondazione di Tiffany.

Unico nel suo genere, è impossibile che si trovi nelle mazzette di pantone, perché è legato in maniera indissolubile alla brand awarness di Tiffany.

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Come avviene la scelta di un colore nei loghi

Il colore è il fattore principale nel design di un logo, biglietto da visita che trasmette l’identità di un’azienda. Vediamo come vengono scelti i colori dalle aziende più popolari e in che modo questi colori esprimono la personalità del brand.

Rosso

Il rosso è un colore vitale, attira immediatamente l'attenzione, stimola impulsività e stuzzica l'appetito. È molto usato dai brand alimentari (Coca-Cola, Netflix, Kellogg’s) ma anche nelle insegne per saldi e promozioni

Giallo

Il giallo è associato all'energia, all'attività mentale e all'azione (Shell, Eni, National Geographic).

Arancione

L'arancione è il colore della creatività e dell'energia mentale, richiama positività ed empatia.  È adatto per risaltare elementi grafici, come pulsanti di call to action o box di offerte.

Verde

Il verde evoca tranquillità, pace, salute e freschezza.  È perfetto per brand biologici e green, ma è molto apprezzato anche da marchi che vogliono ispirare fiducia (Whatsapp, Starbucks e Android).

Blu

Il blu è il colore preferito dal 42% della popolazione mondiale e ispira lealtà, calma, stabilità e pensiero ponderato. Dalle banche alla Polizia di Stato, è indubbiamente la scelta di chi vuole farsi accettare dal pubblico (Facebook, Samsung, LinkedIn).

Viola

Il viola è strettamente legato all’eleganza, al lusso, all’introspezione, ma anche al mistero. Colpisce maggiormente un target femminile, per questo ispira anche sensualità ed eleganza (Milka, Twitch, FedEx).

Marrone

Il marrone evoca calore, artigianalità, comfort e serenità. A seconda dell’intensità può trasmettere un’idea di rustico o di vintage (Ups, Louis Vuitton, M&M’s).

Argento

L’argento è associato al metallo ed esprime resistenza e solidità. Molte case automobilistiche o aziende informatiche prediligono questa tonalità di colore (Audi, Apple, Wikipedia).

Bianco e Nero

Il bianco e il nero spesso sono abbinati insieme per ottenere un’immagine minimalista, raffinata, lussuosa e pura (Puma, Adidas, Nike).

È sempre stata una questione di genere

Quando un brand vuole comunicare qualcosa, deve tenere in considerazione le preferenze e i bisogni del target di riferimento.

In Associazione dei colori, uno studio condotto da Joe Hallock, emerge come in entrambi i sessi il colore preferito sia il blu.

Al contrario il viola risulta uno dei colori meno favoriti dagli uomini, ma che piace molto alle donne.

Il sesso femminile predilige colorazioni più tenue e con tonalità chiare, mentre quello maschile preferisce colori intensi e dalle tonalità più scure.

Infine, esistono differenze anche in base al nome che viene associato ai colori. Se gli uomini accostano facilmente i diversi colori sotto grandi macronomi, le donne utilizzano moltissimi nomi che si discostano per tonalità.

In molti casi, alcuni brand escludono a priori la possibilità di utilizzare varie sfumature di colori, poiché potrebbero risultare “fuori target”: vediamo un esempio.

Secondo Nintendo l’estetica di GameCube risultava “troppo femminile”

Il 18 novembre 2001 uscì Nintendo GameCube in America, due mesi dopo il lancio originale in Giappone. La console non riscosse grande successo, ma l’iconico colore indaco che la caratterizza ha certamente contribuito a far parlare di sé.

Sin dal principio il reparto marketing di Nintendo of America non era affatto soddisfatto del colore della console, e cercò in tutti i modi di cambiare questo aspetto.

«Era un colore molto… femminile. Non sembrava mascolino. Pensavamo che avremmo collezionato delle opinioni negative dalla stampa solo per il colore.»

Color forecasting e la previsione di tendenze

Oggi viviamo di colori, cerchiamo di essere sempre al passo con la moda e i tempi.

Professionisti provenienti da tutto il mondo sfruttano conoscenze collettive per prevedere quali colori saranno in tendenza in un futuro prossimo.

La previsione del colore comprende ricerca e scienza: è un insieme di tecnica e arte.

Esperti del colore collaborano per individuare le tendenze cromatiche future, attraverso la ricerca di sondaggi rivolti al target e test di suddivisione dei prodotti.

Questo è fondamentale per affinare e prevedere le preferenze dei consumatori al momento dell’acquisto di un determinato prodotto o servizio: è una potente strategia che permette ai brand di pianificare in anticipo le mode.

L’ossessione di dover essere sempre in palette

Ti è mai capitato passare le giornate a scrollare Instagram in cerca dell’outfit perfetto? O di riscoprire improvvisamente quel vestito rimasto sepolto nell’armadio per anni?
Ecco, il colore ha un ruolo chiave soprattutto nel settore del fashion.

Non è fondamentale acquistare costantemente nuovi capi per stare al passo con le ultime tendenze cromatiche, come sottolinea Laurie Pressman, vicepresidente del Pantone Color Institute.

«Nel nostro ruolo di risorsa colore non stiamo suggerendo che i consumatori sostituiscano tutto il loro armadio.»

Laurie Pressman

Come spesso accade, i consumatori non dovrebbero sentire un senso di oppressione nei confronti delle continue tendenze provenienti dal settore moda, ma dovrebbero optare e scegliere combinazioni di tessuti e colori che portano felicità e buon umore.

L’industria del fashion potrebbe perciò evitare di proporre nuove palette colore e, di conseguenza, di coltivare un irrefrenabile desiderio di acquisto da parte dei consumatori.

Conclusioni

Già da piccoli sapevamo inconsapevolmente che il colore fosse una parte essenziale della nostra vita. Crescendo abbiamo maturato la consapevolezza emotiva delle componenti cromatiche.

La scelta del colore orienta in modo significativo l’efficacia del design e definisce l’immagine di un marchio.

Per padroneggiare il colore servono conoscenza, esperienza, giudizio e intuizione.

Esistono infinite sfumature capaci di influenzare le nostre scelte quotidiane, ma questo spesso lo diamo per scontato.

Musica a Suon di Marketing

Dietro il lancio di un nuovo disco o singolo ci sono giorni e giorni di studi e analisi. Trovare il canale più giusto per comunicare ai propri fans è molto difficile, si deve riuscire ad arrivare dritti al cuore e non deludere le aspettative. 

 

Quando il settore del marketing e della comunicazione incontra quello della musica possono nascere opere d’arte degne di nota.

Già di per sé la musica rappresenta una componente importante nelle strategie di marketing, in quanto molto spesso viene impiegata nella realizzazione di campagne pubblicitarie, e le sue influenze sui consumatori finali sono ampiamente studiate dalla branca del neuromarketing.

Ma oggi vorrei parlare più di come il lancio di un nuovo album viene pubblicizzato dalle etichette discografiche

Al giorno d’oggi è molto difficile creare stupore nel pubblico di riferimento, soprattutto se il target è quello dei millennials, generazione della comunicazione ormai abituata a tutto, e molto difficile da stimolare e attrarre.

Per tale motivo per sponsorizzare i propri album, gli artisti e relative Label devono promuovere idee geniali, creative e soprattutto insolite.

Andiamo a vedere insieme alcuni teaser musicali estremamente creativi.

 

Adele e il suo album “30”

Il 19 novembre 2021 è uscito l’album “30” di Adele. In occasione di questa pubblicazione sono apparsi in giro per tanti maxischermi mondiali dei numeri 30. Questi indizi numerici semplici hanno fatto il giro dell’Europa partendo da Londra, fino ad arrivare a Parigi, Dublino, New York, persino da noi, facendo la loro comparsa nelle stazioni ferroviarie di Milano Centrale e Roma Termini.

Immagine che ritrae un maxischermo con su scritto 30. Campagna pubblicitaria per l'uscita dell'album 30 della cantante Adele.

L’idea ha creato una suspence incredibile per i fan della cantante che hanno capito subito di cosa si trattasse, mentre ha instillato curiosità e interesse in chi non aveva la più pallida idea di che cosa stessero a significare quei 30. Un’idea di marketing musicale brillante che ha canalizzato bene l’attenzione del pubblico sull’artista.

 

Radiohead e l’offerta per “In Rainbows”

Il 10 ottobre 2007 è stato lanciato in tutto il mondo l’album “In Rainbows” dei Radiohead.

Quegli anni rappresentano un periodo di transizione, dal CD fisico alla musica passata su supporto digitale. Questo passaggio è stato per così dire “obbligato”, poiché le case discografiche hanno avuto la pessima idea di rendere i CD un articolo non propriamente conveniente, ma anzi molto caro in relazione soprattutto alle possibilità economiche dei ragazzi, principali consumatori dell’industria musicale.

Per far fronte a questo problema i Radiohead, (senza l’appoggio di nessuna etichetta discografica), hanno deciso di vendere il CD di “In Rainbows”, ad offerta libera.

Questa tecnica di marketing oltre ad essere stata apprezzata tantissimo dai giovani è stata anche molto proficua, in quanto dovendo versare un’offerta a piacimento per acquistare il CD, molto spesso le persone sono state propense ad offrire più di quanto sarebbe stato il costo effettivo.

 

Gazzelle e l’uscita di “OK”

Lo scorso febbraio Gazzelle ha dato alla luce il suo terzo album denominato “OK”. Il progetto per l’uscita di questo nuovo album è stato attentamente studiato da esperti di marketing. Infatti, il martedì antecedente al lancio il cantante ha postato tramite le sue IG stories una frase esplicita “Che succede a Milano?”. Dopo questa prima IG Story, Gazzelle ne ha pubblicate altre contenenti fotografie di cassette antincendio con su scritto la famosissima frase “rompere in caso di emergenza”.

Queste cassette antincendio sono state dislocate in varie zone molto frequentate del capoluogo lombardo, come i Navigli, o il Duomo. Di prioritaria importanza è però il contenuto; infatti, al loro interno sono stati depositati una serie di vinili dell’album OK. Quindi i fortunati che sono stati in grado di trovare le cassette prima di tutti sono riusciti ad accaparrarsi gratuitamente un vinile di Gazzelle dell’album che sarebbe uscito di lì a pochi giorni.

Una tattica di marketing che ha scatenato i giovani appassionati di Gazzelle spedendoli in giro per Milano alla ricerca delle fantomatiche cassette antincendio.

Cassetta anti incendio contenente l'album di Gazzelle con su scritto il titolo

Ma non è la prima volta che il team marketing di Gazzelle tira fuori idee geniali. Anche per la pubblicazione del singolo “Destri” l’etichetta discografica del cantante ha deciso di tappezzare l’intera città con poster con su scritto frasi della canzone.

 

La Guerrilla degli Arcade Fire

Per chi fosse a digiuno di marketing e comunicazione, la Guerrilla rappresenta una strategia di marketing che prevede l’intromissione spudorata e prepotente di messaggi, impiegando mezzi non convenzionali e molto stimolanti, andando ad invadere territori che finora non erano stati utilizzati per quella strategia di sponsorizzazione.

Nel lancio della loro campagna pubblicitaria per l’uscita dell’album “Reflektor” del 2013, gli Arcade Fire hanno utilizzato proprio questa tecnica.

Immagini di street art con scritto Reflektor, il nome dell'album musicale degli Arcade FIre.

Il gruppo musicale indie canadese ha deciso di sponsorizzare il suo quarto LP sfruttando opere di street art, graffiti e scritte, sparse in tutta New York e Los Angeles, un’idea sicuramente innovativa e inconsueta.

 

Chinese Democracy, l’album dei Guns N’Roses

I Guns N’Roses rappresentano uno dei capisaldi della musica rock statunitense. Anche se non sei appassionato di rock è difficile che tu non li conosca.

In occasione dell’uscita di Chinese Democracy, il team di marketing che cura il gruppo musicale ha previsto un’attesa letteralmente infinita. Infatti, risulta che l’album sia stato iniziato nel 1994 ma è uscito effettivamente sul mercato musicale mondiale soltanto il 23 novembre del 2008. Questa scelta ha scatenato un forte desiderio e impazienza da parte del pubblico, in grado di tenerne attiva l’attenzione in maniera efficace e per un periodo di tempo piuttosto prolungato.

 

Beyoncé e “Beyoncé”

L’album “Beyoncé” della regina del pop statunitense ha avuto un lancio a dir poco improvviso.

Di solito tra la pubblicazione dell’album e l’arrivo di quest’ultimo nei negozi musicali passa sempre qualche mese. In questo periodo capita purtroppo che alcune tracce dell’album vengano estrapolate e giungano in pochissimo tempo sui canali di streaming o di torrent.

Per scongiurare questa modalità non particolarmente legale né tanto meno piacevole per l’artista, l’etichetta discografica di Beyoncé ha deciso di attuare una strategia di marketing eliminando il lasso di tempo fra il lancio e l’effettiva messa in vendita, uscendo direttamente con quest’ultima, cioè lanciando l’album insieme alla sua messa a scaffale.

Questa tecnica strategica, oltre a disincentivare tutta la dimensione dello streaming illegale, ha colto completamente di sorpresa i fan della cantante riuscendo a stimolare la loro attenzione in maniera stupefacente!

 

Conclusione

Raccontare tramite una campagna pubblicitaria l’uscita di un nuovo album è un’impresa piuttosto difficile, soprattutto perché è importante veicolare i valori e i messaggi intrinseci dell’artista o del gruppo. Ogni album musicale ha una propria identità ed è necessario venga raccontato a 360°, portando in superficie l’essenza di cui è composto.

Il Calendario dell’Avvento di Sephora. Analisi di una strategia di marketing vincente

Non è un banale calendario dell’avvento con ciondoli in acciaio e monete di cioccolato. Non è un comune bundle con prodotti che non ti servono. Il Calendario dell'Avvento Sephora Favorites contiene prodotti meravigliosi e tutti da scoprire.

Il claim all’interno della confezione è già il sigillo di garanzia: All beauty stars. Un avviso che non lascia spazio ad alcun dubbio: stai per compiere un viaggio di consumo tra i migliori prodotti beauty presenti sul mercato. E sono tutti qui, all’interno di questo scrigno dal colore rosso fiammante e dalle sgargianti scritte dorate che vanno a impreziosire il packaging.

Lo storytelling è perfetto. Il design è coerente con la narrazione fiabesca. E anche la qualità dei prodotti contenuti all’interno del calendario rispecchia il messaggio comunicato.

Ma sarà tutto oro ciò che luccica? O c’è forse anche un pizzico di marketing a condire il tutto? Scopriamolo insieme.

Contenuto del calendario dell'avvento di Sephora

Il marketing dei calendari dell’avvento

Per rompere il ghiaccio, facciamo una breve panoramica sul mondo dei calendari dell’avvento. La logica è molto semplice ed è l’elemento comune di ogni calendario di questo tipo: a partire dal primo di dicembre fino al giorno di Natale, ogni 24 ore, per 24 giorni, c’è una nuova sorpresa che ti aspetta.

In prima istanza, sono tre gli elementi che caratterizzano i prodotti di questo tipo:

  1. Un effetto sorpresa, perché dietro a ogni casella c’è un piccolo tesoro da scoprire;
  2. Una diversificazione nell’offerta, perché si ha la possibilità di provare ventiquattro prodotti diversi in un’unica soluzione;
  3. Una logica di sconto, perché in molti casi (ma non in tutti) si tratta di un bundle che racchiude un lotto di prodotti che acquistati singolarmente avrebbero un costo maggiore rispetto al prezzo unitario di ogni singolo prodotto.

Il quarto elemento, probabilmente il più importante, potremmo definirlo un effetto memoria. Infatti, aprire una casella ogni giorno significa includere il consumatore in un quotidiano processo di fidelizzazione con il brand associato al calendario.

Dal binge watching al binge unboxing

Poco sopra si è parlato degli elementi che caratterizzano i calendari dell’avvento. Non è un caso che l’effetto memoria non facesse parte dell’elenco puntato. Per quanto fondamentale, è un elemento che non si attiva in tutti i consumatori.

Immaginiamo adesso lo scenario di una persona che ha acquistato un calendario dell’avvento e decida di aprire subito tutte le caselle. È possibile che questa persona abbia fatto l’acquisto soltanto perché interessata al bundle (logica di sconto).

Esiste però un’altra alternativa.

Binge watching con telecomando

Una delle possibilità dei calendari dell’avvento è anche la variabile dell’impazienza: il consumatore può scegliere di aprire più prodotti contemporaneamente o, addirittura, tutti i prodotti insieme. 

Si tratta di una pratica ben nota dal punto di vista del consumo mediale, ovvero il cosiddetto binge watching. Il termine significa letteralmente “abbuffata di visione”,

«vuol dire fare una “maratona” di visione, ossia guardare cinque, dieci quindici puntate di seguito di una serie televisiva.»
[vocabolario Treccani]

Traslata sule dinamiche dei calendari dell’avvento, la si può considerare una pratica di binge unboxing, mediante la quale si stimolano ripetutamente i sensi e si rinnovano le emozioni in un lasso di tempo ristretto.

Ogni casella è aperta in maniera contigua alla precedente; in questo modo, la somma delle singole aperture permette di replicare la dinamica dello shopping compulsivo tipico dei centri commerciali. Uno shopping compulsivo che avviene attraverso un unico pagamento e che viene messo in pratica direttamente da casa in tutta tranquillità.

Il calendario dell'avvento di Sephora

Parlando del nostro caso di studio, ogni giorno Sephora mi permette di scoprire un nuovo prodotto. È come se ogni giorno entrassi nuovamente da Sephora per acquistare qualcosa di nuovo.

In poche parole, si tratta di un processo di serializzazione dell’esperienza di unboxing, replicando in maniera continuativa l’azione di spacchettare un prodotto nuovo e tutto da scoprire, rinnovando quotidianamente lo stupore e favorendo un costante processo di gamification. L’esperienza di consumo si unisce a una pratica ludica routinizzata.

Il consumatore diventa così il protagonista di un’operazione che lo coinvolge attivamente nell’esperienza di consumo.

Il brand Sephora rimane al mio fianco per tutto il mese, imprimendosi nella quotidianità e diventando abitudine, certezza, memoria.

I calendari dell’avvento nel mondo Beauty

Sephora non è l’unico brand che realizza ogni anno un Calendario dell’avvento Beauty. Sono infatti in molti a mettere sul mercato un prodotto simile. 

Tra i calendari dell’avvento dei trucchi bisogna ricordare Yves Rocher, Essence, Make Up Revolution, Nyx Cosmetics, Look Fantastic, Kiko, Benefit, Douglas e tanti altri ancora.

La strategia di vendita alla base di tutti questi calendari è pressoché la stessa: una logica di bundle che permette di concentrare una pluralità di cross-sell in colpo solo.

Il calendario dell'avvento di Douglas Il calendario dell'avvento di Douglas

Per quanto riguarda invece il contenuto del calendario dell’avvento di Sephora, i brand presenti all’interno del calendario sono i seguenti:

Anastasia Beverly Hills, Benefit (x2), Carolina Herrera, Carre Y, Charlotte Tilbury, Erborian, Fenty Beauty, Fenty Skin, Fresh, Huda Beauty, Innisfree, Juliette Has A Gun, Make Up Eraser, Merci Handy, Moroccanoil, Natasha Denona, Olaplex, Patchology, Rare Beauty, Ren Clean Skincare, Respire, Rms, Sephora Collection, Tarte, The Ordinary, Too Faced.

Una vasta scelta di brand e prodotti, tra quelli più in voga.

La strategia per comunicare e vendere tanti prodotti beauty in un colpo solo

Perché il calendario dell’avvento di Sephora viene messo in vendita nel mese di Settembre?

Le influencer ricevo il calendario come pacco pr nella prima metà di Settembre e fanno l’unboxing del prodotto prima del preorder ufficiale, creando così un senso di voglia e aspettativa negli utenti.

Le persone ottengono conferma dei prodotti racchiusi all’interno del calendario e possono avere un feedback immediato da un esperto del settore beauty. E per chi non vuole rovinarsi la sorpresa, può comunque acquistare il calendario a scatola chiusa. 

Quando la pubblicità non è paid

Analizzando l’account di Sephora Italia su AD Library, la libreria delle inserzioni di Facebook attive al momento della ricerca (Ottobre 2021), non sono presenti annunci pubblicitari relativi al prodotto in questione, né sono presenti annunci sulla rete di ricerca Google. 

Questo significa che i canali di vendita sono altri e tutti (o quasi) non a pagamento.

Vendere un prodotto senza paid advertising è sempre un’operazione difficile. Ma Sephora con le ottime pr e la community di utenti estremamente fidelizzati può farlo senza alcun tipo di problema. Il potere del passaparola e del social proof, nonché quello del principio di autorità incarnato dalle influencer.

La hype campaign nel processo di vendita

Per assicurare un successo nelle vendite, la timeline del processo di vendita del prodotto è scandidta in momenti differenti, ognuno con degli obiettivi specifici e uno scenario adatto al target da raggiungere.

Prima chance - 17 settembre 2021 (app)​

Per alcuni giorni sull’app è visibile il countdown in attesa del preorder, in modo da creare hype e dare il tempo di valutare l’acquisto alle persone.

La fase di pre-order dall’app, con le scorte limitate, crea un senso di urgency e di scarcity: gli utenti rimasti a bocca asciutta potranno acquistare il prodotto con una seconda chance. Infatti, dopo alcuni giorni, il prodotto è reso disponibile sull’ecommerce di Sephora.

Inoltre, l’app concede una logica di premio agli utenti con la tessera (quindi fidelizzati), dando un vantaggio e una priorità rispetto agli utenti che non fanno parte della community di Sephora. È come se Sephora stesse dicendo: “hey utente iscritto, ti voglio dare una possibilità prima di tutti gli altri”.

Questo crea da una parte un senso di nobilitazione per l’utente e dall’altra un senso di fretta nell’acquisto. Entra infatti in gioco la cosiddetta FOMO (fear of missing out), ovvero la paura di rimanere tagliati fuori da qualcosa. Una doppia leva psicologica per un successo garantito.

L’alternativa è quella di fare la tessera nei giorni precedenti al pre-order, con la conseguenza di aumentare i contatti di potenziali clienti nel database di Sephora. La tessera è infatti la forma di lead generation per antonomasia.

Seconda chance - 21 settembre (sito)

La seconda fase di acquisto consiste nella release del prodotto sul sito di Sephora. 

La vendita è aperta soltanto agli utenti registrati, ovvero una seconda forma di lead generation per tenere traccia delle persone disposte a effettuare un acquisto così importante, indice quindi di consumatori da stimolare in futuro con newsletter e promozioni legate al mondo di Sephora e ai vari prodotti beauty.

Terza chance - primi di ottobre

La fase successiva, quella dell’acquisto delle persone nel mese di ottobre-novembre, sarà il punto successivo della strategia di vendita, momento chiave durante il quale vengono scelti i calendari dell’avvento.

In questo periodo, ci saranno molte persone che avranno già fatto l’acquisto nella chance 1 e chance 2 e inizieranno il calendario nel mese di ottobre, impazienti di attendere fino a dicembre. Per tutto il mese di ottobre le persone mostreranno i prodotti giornalieri attraverso i loro social, contribuendo ad accrescere il senso di bisogno nei confronti di amici e conoscenti. Entra così in gioco la riprova sociale: se ce l’ha lui/lei, devo averlo anche io.

Le lumache, ultimi consumatori della curva di adozione di un prodotto, acquisteranno in negozio tutti i calendari disponibili, fino a esaurimento scorte.

Ed è sold out, signore e signori. Sold out!

I vantaggi per il consumatore, i vantaggi per i brand

La quantità di prodotti all’interno del calendario è nettamente inferiore alla somma dei prezzi unitari di tutti i prodotti (129,90 anziché 377). Il contenuto del calendario dell’avvento di Sephora consiste in 25 caselle caselle + una casella di voucher.

Le 25 caselle contengono le versioni ridotte di prodotti venduti in esclusiva da Sephora, ma anche prodotti nel loro formato standard.

Questo significa 25 prodotti da testare a prezzo ridotto e una grande pubblicità per i prodotti stessi attraverso i social media di chi ha acquistato il calendario, che con molta probabilità posterà stories e foto per tutto il periodo dell’Avvento. 

Si ottiene così un megafono pubblicitario che moltiplica la sua risonanza e aumenta le possibilità di produzione di user generated content (UCG) per il mondo beauty.

 

377
Prezzo
0
Prodotti
Sconto totale
Sconto 65.54%

Nuovi bisogni, nuovi guadagni

Una volta terminato il calendario, le persone si saranno trovate bene con alcuni dei prodotti contenuti al suo interno. Di conseguenza, questo produrrà un aumento delle vendite delle versioni standard dei prodotti in questione.

Non solo quindi un’importante campagna pubblicitaria per Sephora e per i brand che vende (che probabilmente fanno il calendario in partnership con Sephora, concedendo i loro prodotti con il minor margine di guadagno possibile), ma anche un’ottima strategia di lead generation, per acquisire nuovi contatti e per generare nuovi bisogni per tanti prodotti dal mondo beauty.

  1. Il consumatore compra a prezzo scontato nel breve termine.
  2. Sephora aumenta le vendite nel lungo termine.
  3. L’awareness dei brand venduti aumenta.

E tutti vissero felici e contenti.

Fonti consultate

Questo articolo è principalmente frutto di un lavoro di ricerca e analisi a opera dell'autore. I riferimenti utilizzati sono perlopiù derivanti da un mix di riflessioni e conoscenze di marketing e comunicazione.

A margine dello scritto, si rimanda comunque alla lettura di due testi da cui è possibile approfondire alcuni concetti trattati, come ad esempio il principio di autorità, la riprova sociale (Cialdini) e la fear of missing out (McGinnis).

  • Robert Cialdini (1984), Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, Giunti Editore, Firenze trad. it Influence: The Psychology of Persuasion, Harper Business, New York
  • Patrick James McGinnis (2021), Fomo Sapiens. Impara a decidere senza farti travolgere da un mondo pieno di scelte possibili, Rizzoli (BUR), Milano trad. it Fear Of Missing Out: Practical Decision-Making in a World of Overwhelming Choice, Sourcebooks. 2020

Perché il Comic Sans è tra i font migliori al mondo

A ogni cosa appartengono un tono, uno stile, un carattere e un'utilità.

Ogni cosa, o meglio, ogni buona cosa, ha bisogno di un contesto.
Ogni cosa, o meglio, ogni buona cosa, ha bisogno di essere coerente nel suo contesto per essere funzionale e per soddisfare appieno un determinato bisogno.

Quando parliamo di contesto, stiamo descrivendo un ambiente che a tratti potrebbe essere sia la cosa più intuitiva e semplice che la cosa più difficile del mondo.

Questa sfida, lanciata dalla Graphic Designer Filomena Pesce su Instagram, mostra quanto l’impatto visivo giochi un ruolo fondamentale nelle nostre decisioni, che vengono prese in un battito di ciglia, in base a quella che è la nostra prima impressione.

Il logo è infatti soltanto la punta dell’iceberg del brand, che in realtà si può definire come l’insieme di tutta quella serie di elementi che vanno a costruire una coerenza: quelle che Alice Morrone, nel suo libro UX Writer, nomina “sfumature”, definendo il designer (nel senso ampio del termine) come un “architetto delle scelte”, il quale deve guidare il consumatore verso il sentiero che è stato predisposto per lui, senza rallentarlo, né mettendogli troppa fretta, rischiando di perderne l’attenzione.

Il momento che amo di più quando realizzo qualcosa è la scelta del carattere tipografico, perché nel momento in cui scegliamo un carattere lo investiamo di quel potere visivo che unicamente un buon “addetto ai lavori” può comprendere.

Recentemente mi è stato chiesto di ripensare alla Brand Identity di uno studio di architettura e la prima cosa che mi è stata detta dal cliente è stata:
“il carattere tipografico deve essere ben leggibile perché viene stampato molto piccolo nella planimetrie”.

Contesto, coerenza, bisogno.

Ho iniziato a frequentare le agenzie pubblicitarie ancor prima di imparare a camminare e, nel corso della mia esperienza, ho capito che, alla base della distinzione fra un creativo qualunque e un buon creativo c’è la risposta alla domanda “perché hai scelto questo font?“.
La risposta più sbagliata? “Perché mi piaceva”.

Personalmente credo che non dovremmo mai scegliere un determinato font, o un determinato visual o copy, o qualsiasi altro strumento comunicativo “perché ci piacciono”, perché, i caratteri tipografici (e con loro la serie dei materiali che compongono una comunicazione) sono come le persone: hanno un tono, uno stile, un proprio carattere e una derivante utilità: argomenti che vanno a costruire quella coerenza di cui si parlava prima.

Puro e americano

È giusto avere un “carattere preferito“? Assolutamente sì, ma ciò non determina che questo vada usato impropriamente, un po’ come portare il tuo migliore amico punk a una serata di gala dove il dress code prevede smoking e scarpe di coccodrillo.

Si dice che per la vittoria di Obama nel 2008 abbia partecipato i buona parte la scelta del carattere Gotham, perché incarnava appieno i valori americani e la posatezza, la voglia di cambiamento promessi da Obama.

Gotham nasce come puro carattere americano, partorito dalle vecchie insegne, come quella posta sull’entrata del New York Port Authority Bus Terminal, incarnava appieno il tono, lo stile, il carattere di Obama e, per questo, trovò un’utilità, probabilmente ciò non sarebbe successo se si fosse usato il Comic Sans.

Arrivati a un certo punto, nel mondo dei designer succede qualcosa… un po’ come quando esci per strada e vedi tutte le ragazze con le Adidas bianche, il parka verde col pellicciotto sul cappuccio e i jeans strappati, è così che ti guardi intorno e vedi una serie infinita di caratteri uguali.

L’Helvetica ne è il più grande esempio, considerato dai più un carattere magistrale, apice di un percorso artistico-stilistico quale è stata la scuola svizzera, ha conquistato il mondo.
Il suo super potere è quello di riuscire a dare un’aria seriosa e allo stesso tempo pratica a qualsiasi cosa e, per questa ragione, è tra i font più abusati della storia.

Simon Garfield in “Sei proprio il mio typo” scrive:

«Che font è? Boh, probabilmente è Helvetica.

-Chiunque su qualsiasi font. »

Una community particolare

 Incredibile ma vero, la stessa cosa accadde anche a questo carattere cartoonesco qual è il Comic Sans

Vincent Conare, nel 1994, lavorava per la Microsoft Corporation e si ritrovò tra le mani una copia di Microsoft Bob, intuì che questo aveva un enorme difetto: il font. 

Le istruzioni erano scritte in modo accessibile, capibili da un bambino, ma erano scritte in Times New Roman, un font che sarebbe perfetto per uno studio notarile

Fu così che, ispirandosi ai fumetti di Batman, nacque il Comic Sans: lettere morbide, arrotondate, come se spuntate da delle forbici per bambini, inviò il risultato agli ideatori di Microsoft Bob, che gli diedero la cattiva notizia, il programma era già stato interamente impostato con le misure del Times New Roman e il Comic Sans era leggermente più grande, non poteva prendere il suo posto, ma, poco tempo dopo, il carattere fu rilasciato per Movie Maker e fu lì che iniziò la sua enorme diffusione. 

Comic Sans, Comic Sans ovunque, Comic Sans sui negozi di giocattoli, sulle ambulanze, sui siti pornografici, sugli spot delle Adidas… ed è qui, quando un carattere diventa una ragazzina con le Adidas bianche, il parka verde col pellicciotto sul cappuccio e i jeans strappati, è così che ti guardi attorno e scopri che un’intera community firma petizioni contro un carattere tipografico, per eliminarlo dalla faccia della terra, una community “di pratica”, se così la possiamo definire, il cui tema o, per meglio dire, la passione era una: l’odio per il Comic Sans. 

Dicono Dave e Holly Combs di “Ban Comic Sans:

«Quando si disegna un cartello “Vietato l’ingresso”, è consigliabile l’uso di un font dai tratti marcati, capaci di attirare l’attenzione, come l’Impact o l’Arial Black. 

Comporre un messaggio di questo genere in Comic Sans sarebbe ridicolo […] come presentarsi a un ricevimento elegante con un costume da clown.»

 

 Ma davvero Comic Sans non è mai un font accettabile?  In un’intervista, Vincent Connare dice: 

«Se si ama il Comic Sans, non si sa granché di tipografia. Se lo si odia, non si sa ugualmente un granché di tipografia, e bisognerebbe trovarsi un altro hobby.»

Paradossalmente, qualche mese fa, ho totalmente cambiato la mia visione sul Comic Sans.

Comic Sans è il carattere più odiato di tutti i tempi perché la community dei designer l’ha ritenuto fin troppo abusato, ma ogni regola ha un’eccezione, e Comic Sans e una di quelle. 

Comic Sans è uno dei pochissimi font con lettere facili da decifrare per i dislessici.   

Una difficoltà comune per le persone con dislessia è distinguere le forme delle lettere simili, come b/d, p/q e n/u, per questo Comic Sans è un font per i dislessici estremamente ottimale.

 

In tutto l’alfabeto vengono ripetuti solo 2 caratteri, il che rende più facile distinguere la differenza tra questi anche a persone con dislessia.

Quindi, la prossima volta che vedrete il Comic Sans, dategli po’ di amore e una nuova possibilità.

Conclusioni

Un font, come tutto ciò che riguarda il mondo del design, non necessita di essere bello o brutto, necessita unicamente di essere utile, come una buona schermata per un sito o un microcopy che, alla chiusura di un programma, ci permetta di non eliminare tutto il lavoro fatto fino a quel momento, perché lo UX writer non aveva pensato che quel messaggio poteva essere male interpretato.

A parer mio, lo scopo di un creativo non è quello di esserlo nel vero senso del termine, ma quello di riuscire a semplificare il lavoro e l’utilizzo di qualcosa da parte di qualcun altro, migliorare la vita delle persone, ne abbiamo la possibilità e questo la rende una responsabilità.

E quindi non esisterà mai una brutta campagna o un brutto sito web, esisteranno azioni che sono state ottimali e azioni che non lo sono state, portando a risultati ottimali o meno.

Quando finiranno gli influencer

L’influencer marketing è una tendenza sempre più rilevante per le strategie di comunicazione e marketing dei brand. Come si svilupperà negli anni a venire?

Come aumentare la propria brand awareness: il caso dei luxury brand

Che cos’è la brand awareness? Si tratta di uno degli indicatori più importanti per un’azienda. Scopriamo insieme quali sono le strategie per trasformare un brand in un brand di successo.

Brand Awareness, o anche Notorietà o Riconoscibilità di marca, è un parametro che indica quanto il tuo brand e relativi prodotti o servizi siano conosciuti e riconosciuti nella mente dei consumatori. (Uptimization, Dicembre 2014)

A cosa serve la brand awareness?

Fondamentale per l’esistenza stessa di un brand è la percezione che i consumatori hanno dello stesso: tutti noi abbiamo una nostra opinione su un’azienda, sui prodotti o servizi che offre. Questa opinione è insita in noi e deriva da tutte quelle sensazioni ed emozioni che quel brand risveglia in noi inconsciamente. 

In questo senso, avere una brand awareness alta non solo posiziona l’azienda fra le prime del settore a livello di percezione del consumatore ma conferisce fiducia nel marchio portando con più facilità  all’acquisto del prodotto.

Come aumentare la propria brand awareness?

La brand awareness si aumenta grazie a un complesso processo di comunicazione. La reputazione di un marchio, derivante anche dal livello dei prodotti o servizi offerti, si basa soprattutto sulla strategia di comunicazione, e il corrispettivo piano, approntati dall’azienda.

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Strumenti per aumentare la brand awareness online

  1. Social Media
    Possono essere definiti come il nuovo strumento di comunicazione e contatto tra brand e utenti. Sono tali tutti quei canali attraverso cui si diffondono i contenuti del brand (post, fotografie, video) tramite piattaforme di social networking e social network. Attraverso il piano editoriale, il community management e il tone of voice giusto si riesce a fidelizzare il cliente, comunicare con esso e farlo sentire sempre in contatto con l’azienda. 
  2. Influencer Marketing
    Questo è uno strumento innovativo e di successo assicurato.  Si configura quando un personaggio con tanti followers sui social network pubblicizza un brand. In poco tempo, se la pubblicizzazione è stata studiata bene, la propria brand awareness può aumentare considerevolmente. La sponsorizzazione attraverso influencer deve però risultare veritiera, ovvero la scelta del personaggio deve essere ponderata sui valori aziendali. 
  3. Sito Web
    Il sito ufficiale del tuo brand deve contenere tutte le informazioni utili per l’utente, fornite in modo semplice e diretto. Deve essere piacevole e di facile consultazione sia da pc che da mobile. Oltre ai propri contenuti, un sito deve anche essere ottimizzato perfettamente. Per aumentare la popolarità del brand, infatti, il sito deve risultare sempre nei primi posti nella serp dei motori di ricerca; questo lo si ottiene attraverso una attività CEO continua e mirata. 
  4. Campagne di Digital Advertising
    Servono per avere una più ampia visibilità anche fra coloro che non conoscono il brand.  Le campagne di digital advertising si possono sviluppare tramite l’unione di uno o più strumenti, come per esempio i contenuti sponsorizzati, i banner ecc. Anche Google Ads e Facebook Ads sono strumenti utili per la propria brand awareness, soprattutto per il suo monitoraggio.
  5. App
    Un modo per rimanere sempre in contatto con i propri utenti e creare una sempre maggiore fidelizzazione. Per poter assolvere al proprio ruolo devono però essere semplici da usare e intuitive.

Strumenti per aumentare la brand awareness offline

  1. Ufficio Stampa
    Elemento che ha un ruolo sempre più complesso nel panorama della comunicazione aziendale. Si tratta dell’organo generale che diffonde le notizie aziendali verso l’esterno, sia attraverso le modalità offline che online.
  2. Campagne di Advertising
    Si tratta della pubblicità fatta con i media tradizionali che, se studiata ed eseguita bene, è in grado di stravolgere da sola la brand awareness.
  3. Eventi
    Altro strumento utile per il rafforzamento del legame brand cliente. Oggi più che mai gli eventi devono essere progettati attentamente, non soltanto nella loro realizzazione concreta ma anche per poter essere diffusi attraverso la condivisione. Le nuove tecnologie e i continui cambiamenti che stiamo vivendo hanno aperto nuovi orizzonti per la condivisione e realizzazione degli eventi.

Come si misura la propria brand awareness?

Misurare la propria brand awareness è un procedimento non semplice ma è sicuramente molto importante. L’economista David Aaker ha ideato quattro suddivisioni utili a capire a che punto si posiziona la propria azienda relativamente alla propria brand awareness. La cosiddetta Piramide di Aaker, infatti, consente di individuare lo stato attuale di posizionamento di un brand e indicare la via per il raggiungimento del Top of Mind.

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Piramide di Aaker

I quattro stadi della Piramide di Aaker sono:

  1. Unaware of a Brand: alla base della piramide abbiamo la totale mancanza di conoscenza del marchio. In questo stadio i potenziali clienti non sanno dell’esistenza del marchio. 
  2. Brand Recognition: al gradino sopra troviamo tutti quei brand che sono conosciuti dai clienti soltanto in riferimento ad una domanda o stimolo (notorietà sollecitata). 
  3. Brand Recall: è un livello medio alto di conoscenza. Il marchio è presente nella mente dei clienti che cercano un determinato prodotto o servizio.  
  4. Top of Mind: è l’apice della piramide. Il marchio ha raggiunto una notorietà tale da diventare il primo che viene in mente al consumatore quando pensa ad un determinato prodotto. 

Luxury e brand awareness

Un esempio concreto di ciò che vuole dire brand awareness e soprattutto essere nella top of mind lo possiamo trovare con il marchio di lusso Gucci. 

Pensa ai primi tre marchi di moda di lusso che ti vengono in mente. Sicuramente è molto probabile che il marchio Gucci rientri fra uno di questi e questo significa che nel suo settore ha raggiunto, dopo anni di indiscussi successi, la top of mind; un grado di consapevolezza sicuramente molto elevato.  

Tutti i marchi di lusso generalmente rientrano nella top of mind in quanto rappresentano un mercato di nicchia verso il quale il consumatore aspira di arrivare. Si differenziano dal mondo dei marchi di moda di massa e diventano icone di stile impresse nella mente dei consumatori. Questo impone al marchio stesso una scelta molto accurata, d’elite, della comunicazione che viene fatta del prodotto attraverso canali idonei a mantenere i prodotti in una specie di “Olimpo” difficilmente raggiungibile. 

Il designer di scarpe Manolo Blahnik ha raggiunto la propria top of mind attraverso le celebrità e nonostante avesse soltanto due negozi. Il collegamento del brand alla famosa trilogia Sex and the City ha definitivamente impresso nella mente del consumatore l’associazione tra il marchio e l’emisfero lusso.

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Nota bene: spesso tendiamo a confondere riconoscimento del marchio e richiamo del marchio, questi però non sono la stessa cosa. Riconoscere un marchio vuole dire ricordare il marchio quando si viene in contatto con esso o con marchi simili. Mentre, il richiamo al marchio si ha quando il consumatore associa direttamente ad una certa categoria di prodotti quel particolare marchio, per esempio per la categoria pasta il marchio Barilla. In questo caso il marchio ha raggiunto quello che viene considerato lo step finale della piramide di Aaker (Top of Mind).  Questo è l’obiettivo massimo che si può porre alla propria Brand Awareness; essere, quindi, il primo riferimento dei consumatori di fronte ad una necessità.

Conclusioni

Prendere coscienza del reale posizionamento del proprio marchio nella mente del consumatore e adottare tutte le strategie possibili per procedere verso la top of mind del proprio settore, rappresentano il percorso fondamentale che ogni brand deve compiere se vuole ottenere una brand awareness di successo.