A ogni cosa appartengono un tono, uno stile, un carattere e un’utilità.

Ogni cosa, o meglio, ogni buona cosa, ha bisogno di un contesto.

Ogni cosa, o meglio, ogni buona cosa, ha bisogno di essere coerente nel suo contesto per essere funzionale e per soddisfare appieno un determinato bisogno.

Quando parliamo di contesto, stiamo descrivendo un ambiente che a tratti potrebbe essere sia la cosa più intuitiva e semplice che la cosa più difficile del mondo.

Il design e l'impatto visivo nelle nostre decisioni

Questa sfida, lanciata dalla Graphic Designer Filomena Pesce su Instagram, mostra quanto l’impatto visivo giochi un ruolo fondamentale nelle nostre decisioni, che vengono prese in un battito di ciglia, in base a quella che è la nostra prima impressione.

Il logo è infatti soltanto la punta dell’iceberg del brand, che in realtà si può definire come l’insieme di tutta quella serie di elementi che vanno a costruire una coerenza: quelle che Alice Morrone, nel suo libro UX Writer, nomina “sfumature”, definendo il designer (nel senso ampio del termine) come un “architetto delle scelte”, il quale deve guidare il consumatore verso il sentiero che è stato predisposto per lui, senza rallentarlo, né mettendogli troppa fretta, rischiando di perderne l’attenzione.

Il momento che amo di più quando realizzo qualcosa è la scelta del carattere tipografico, perché nel momento in cui scegliamo un carattere lo investiamo di quel potere visivo che unicamente un buon “addetto ai lavori” può comprendere.

Recentemente mi è stato chiesto di ripensare alla Brand Identity di uno studio di architettura e la prima cosa che mi è stata detta dal cliente è stata:

“il carattere tipografico deve essere ben leggibile perché viene stampato molto piccolo nella planimetrie”.

Contesto, coerenza, bisogno.

Ho iniziato a frequentare le agenzie pubblicitarie ancor prima di imparare a camminare e, nel corso della mia esperienza, ho capito che, alla base della distinzione fra un creativo qualunque e un buon creativo c’è la risposta alla domanda “perché hai scelto questo font?“.

La risposta più sbagliata? “Perché mi piaceva”.

Personalmente credo che non dovremmo mai scegliere un determinato font, o un determinato visual o copy, o qualsiasi altro strumento comunicativo “perché ci piacciono”, perché, i caratteri tipografici (e con loro la serie dei materiali che compongono una comunicazione) sono come le persone: hanno un tono, uno stile, un proprio carattere e una derivante utilità: argomenti che vanno a costruire quella coerenza di cui si parlava prima.

Puro e americano

È giusto avere un “carattere preferito“? Assolutamente sì, ma ciò non determina che questo vada usato impropriamente, un po’ come portare il tuo migliore amico punk a una serata di gala dove il dress code prevede smoking e scarpe di coccodrillo.

Si dice che per la vittoria di Obama nel 2008 abbia partecipato i buona parte la scelta del carattere Gotham, perché incarnava appieno i valori americani e la posatezza, la voglia di cambiamento promessi da Obama.

Gotham nasce come puro carattere americano, partorito dalle vecchie insegne, come quella posta sull’entrata del New York Port Authority Bus Terminal, incarnava appieno il tono, lo stile, il carattere di Obama e, per questo, trovò un’utilità, probabilmente ciò non sarebbe successo se si fosse usato il Comic Sans.

Arrivati a un certo punto, nel mondo dei designer succede qualcosa… un po’ come quando esci per strada e vedi tutte le ragazze con le Adidas bianche, il parka verde col pellicciotto sul cappuccio e i jeans strappati, è così che ti guardi intorno e vedi una serie infinita di caratteri uguali.

L’Helvetica ne è il più grande esempio, considerato dai più un carattere magistrale, apice di un percorso artistico-stilistico quale è stata la scuola svizzera, ha conquistato il mondo.

Il suo super potere è quello di riuscire a dare un’aria seriosa e allo stesso tempo pratica a qualsiasi cosa e, per questa ragione, è tra i font più abusati della storia.

Simon Garfield in “Sei proprio il mio typo” scrive:

«Che font è? Boh, probabilmente è Helvetica.

-Chiunque su qualsiasi font. »

Una community particolare

Incredibile ma vero, la stessa cosa accadde anche a questo carattere cartoonesco qual è il Comic Sans

Vincent Conare, nel 1994, lavorava per la Microsoft Corporation e si ritrovò tra le mani una copia di Microsoft Bob, intuì che questo aveva un enorme difetto: il font

Le istruzioni erano scritte in modo accessibile, capibili da un bambino, ma erano scritte in Times New Roman, un font che sarebbe perfetto per uno studio notarile

Fu così che, ispirandosi ai fumetti di Batman, nacque il Comic Sans: lettere morbide, arrotondate, come se spuntate da delle forbici per bambini, inviò il risultato agli ideatori di Microsoft Bob, che gli diedero la cattiva notizia, il programma era già stato interamente impostato con le misure del Times New Roman e il Comic Sans era leggermente più grande, non poteva prendere il suo posto, ma, poco tempo dopo, il carattere fu rilasciato per Movie Maker e fu lì che iniziò la sua enorme diffusione. 

Comic Sans, Comic Sans ovunque, Comic Sans sui negozi di giocattoli, sulle ambulanze, sui siti pornografici, sugli spot delle Adidas… ed è qui, quando un carattere diventa una ragazzina con le Adidas bianche, il parka verde col pellicciotto sul cappuccio e i jeans strappati, è così che ti guardi attorno e scopri che un’intera community firma petizioni contro un carattere tipografico, per eliminarlo dalla faccia della terra, una community “di pratica”, se così la possiamo definire, il cui tema o, per meglio dire, la passione era una: l’odio per il Comic Sans. 

Dicono Dave e Holly Combs di “Ban Comic Sans:

«Quando si disegna un cartello “Vietato l’ingresso”, è consigliabile l’uso di un font dai tratti marcati, capaci di attirare l’attenzione, come l’Impact o l’Arial Black. 

Comporre un messaggio di questo genere in Comic Sans sarebbe ridicolo […] come presentarsi a un ricevimento elegante con un costume da clown.»

 Ma davvero Comic Sans non è mai un font accettabile?  In un’intervista, Vincent Connare dice: 

«Se si ama il Comic Sans, non si sa granché di tipografia. Se lo si odia, non si sa ugualmente un granché di tipografia, e bisognerebbe trovarsi un altro hobby.»

Paradossalmente, qualche mese fa, ho totalmente cambiato la mia visione sul Comic Sans.

Comic Sans è il carattere più odiato di tutti i tempi perché la community dei designer l’ha ritenuto fin troppo abusato, ma ogni regola ha un’eccezione, e Comic Sans e una di quelle. 

Comic Sans è uno dei pochissimi font con lettere facili da decifrare per i dislessici.   

Una difficoltà comune per le persone con dislessia è distinguere le forme delle lettere simili, come b/d, p/q e n/u, per questo Comic Sans è un font per i dislessici estremamente ottimale.

Times New Roman vs Comic Sans

In tutto l’alfabeto vengono ripetuti solo 2 caratteri, il che rende più facile distinguere la differenza tra questi anche a persone con dislessia.

Quindi, la prossima volta che vedrete il Comic Sans, dategli po’ di amore e una nuova possibilità.

Confronto Times New Roman Comic Sans

Conclusioni

Un font, come tutto ciò che riguarda il mondo del design, non necessita di essere bello o brutto, necessita unicamente di essere utile, come una buona schermata per un sito o un microcopy che, alla chiusura di un programma, ci permetta di non eliminare tutto il lavoro fatto fino a quel momento, perché lo UX writer non aveva pensato che quel messaggio poteva essere male interpretato.

A parer mio, lo scopo di un creativo non è quello di esserlo nel vero senso del termine, ma quello di riuscire a semplificare il lavoro e l’utilizzo di qualcosa da parte di qualcun altro, migliorare la vita delle persone, ne abbiamo la possibilità e questo la rende una responsabilità.

E quindi non esisterà mai una brutta campagna o un brutto sito web, esisteranno azioni che sono state ottimali e azioni che non lo sono state, portando a risultati ottimali o meno.